Cremare
cre-mà-re (io crè-mo)
Significato Bruciare un cadavere
Etimologia voce dotta recuperata dal latino cremare ‘ardere, incenerire’.
- «Ha scelto di farsi cremare.»
Parola pubblicata il 28 Gennaio 2025
cre-mà-re (io crè-mo)
Significato Bruciare un cadavere
Etimologia voce dotta recuperata dal latino cremare ‘ardere, incenerire’.
Parola pubblicata il 28 Gennaio 2025
A metà Ottocento questa parola era completamente desueta, croce sopra, sepolta (per fortuna non cremata). Era il bizzarro vestigio di un prestito dal latino che non aveva mai preso piede — scartabellando nelle attestazioni ne troviamo giusta una di Francesco da Barberino, autore trecentesco: «Il mio cor crema».
In effetti il cremare latino era un ardere, un incendiare, che prendeva anche il significato specifico e rituale di incenerire un cadavere. C’entra etimologicamente con la crema che troviamo nelle pastarelle? No. La crema, in senso pasticcero e gastronomico prima e cosmetico poi, è un derivato cinquecentesco del francese crème, che è un termine di origine gallica, che si riferisce in origine alla panna del latte. Invece il cremare latino non si riesce bene a collegare a nient’altro — c’è chi avanza un nesso col ‘carbone’, ma è dibattuto.
Ora, quel suo significato così preciso e così tanto pagano, nell’Europa cristiana non ha avuto rilievo pratico per molti secoli. È solo nell’Ottocento che s’inizia a riconsiderare (peraltro in modo piuttosto rarefatto, e con grandi resistenze) questo modo alternativo di gestire i cadaveri — soprattutto con motivazioni d’igiene, grande passione di quel periodo storico. Ma effetti fra le cremazioni più famose dell’epoca in Italia, a distanza di una cinquantina d’anni una dall’altra (nel ‘22 e nel ‘70) ci furono quelle eccezionali di due uomini stranieri, molto diverse e particolari. Il grande poeta inglese Percy Bysshe Shelley, morto in un naufragio sulle coste della Versilia, che fu bruciato in una pira sulla spiaggia di Viareggio (dopo che Lord Byron l’aveva cosparso di oli profumati come un eroe virgiliano), e il principe indiano Rajaram Chuttraputti di Kolhapur, morto all’improvviso mentre si trovava in viaggio a Firenze, arso e disperso come da prescrizione rituale alla confluenza di due fiumi, l’Arno e il Mugnone — luogo che peraltro a Firenze è rimasto toponomasticamente l’Indiano per antonomasia.
Fu proprio in quel torno d’anni dopo il ‘70 che ‘cremare’ e ‘cremazione’ conobbero il loro successo: fino ad allora s’era parlato piuttosto (quando s’era parlato) di incinerazione o simili. Una nuova vecchia pratica ebbe un nuovo vecchio nome, che iniziò ad echeggiare con vari adattamenti e quasi in contemporanea in tutta Europa; un nome dedicato e perciò delicato, che si sgancia con sobrietà dalle suggestioni di cui si ammanta l’ardere, dal taglio spicciolo del bruciare, dall’immagine esplicita dell’incenerire. Quello che serve per un’aura tecnica, pulita ed essenziale — particolarmente utile nel campo della morte, così irto di violini.