Demistificare
de-mi-sti-fi-cà-re (io de-mi-stì-fi-co)
Significato Sottoporre a critica radicale l’apparenza di qualcuno o di qualcosa, a cui altri credono senza riserve, mettendone in luce i caratteri reali
Etimologia dal francese démystifier, derivato di mystifier ‘mistificare’ con de- che indica separazione.
- «Sono dei rilievi che demistificano la qualità della sua cucina.»
Parola pubblicata il 30 Maggio 2025
Parola non semplice, anche perché si attaglia a situazioni che non sempre metteremmo sullo stesso piano: per quanto appartenga a un registro alto, cala come un’accetta, e bisogna fare attenzione a che cosa ci finisce sotto.
Il demistificare è un criticare, che spoglia qualcosa della sua apparenza e lo riporta a terra, in una dimensione reale. Significato complesso e splendido, che subito ci fa intendere a quale altezza si voli qui. Ha un tratto radicale, che restaura la genuinità sotto l’apparenza, la riporta a una descrizione, a una consistenza propria e corretta.
Il problema di concetto sono quella ‘apparenza’, e quel ‘reale’.
L’apparenza può essere un aspetto falso, una larva, che magari si ammanta di prestigio, riconoscimento e ufficialità, e il reale può essere una sostanza vile; ma non siamo davanti a una valutazione che si possa compiere in assoluto, e può investire anche ciò che si considera sacro e mitico. Non di rado si legge che ‘demistificare’ ha fra i suoi sinonimi proprio ‘dissacrare’ e ‘demitizzare’: il suo smascheramento opera in lungo e in largo. Facciamo qualche esempio per capire l’opportunità offerta.
L’articolo può demistificare un grande nome del cinema, mostrando come le sue opere siano derivative e fragili (suscitando però un coro di voci contrarie); possiamo demistificare la concezione di progresso sottesa a una nuova tecnologia che viene spinta sul mercato — sentendoci dare dei codini e dei luddisti; posso demistificare una tradizione religiosa, mostrandone l’arbitrarietà, magari la crudeltà, e passare per persona che non sa riconoscere i valori che uniscono e informano una comunità. Posso demistificare l’epica classica, coi suoi puri ideali di violenza patriarcale, e sentirmi spernacchiare come chi voglia rifare le fondamenta.
Il demistificare si appoggia su ciò che consideriamo un’opera di mistificazione, e quindi un inganno, un’alterazione, una distorsione del reale, dell’evidente, del semplice. L’approdo è limpido: ciò di cui si afferma il valore può essere stimato, secondo altro giudizio, falso. Così, sotto l’azione sbugiardante della demistificazione può cadere il presuntuoso come il sacro, la narrazione densa di significati autentici e quella manipolatoria, il vuoto come il pieno. Ma sempre con una certa aulica consapevolezza della delicatezza di ciò su cui interviene — che ad esempio nello smascherare non c’è.
Dopotutto, come sappiamo dalla trattazione del mistificare, il suo collegamento col mistico, il mistero e via dicendo è labile: fu un neologismo burlesco coniato in maniera approssimativa in francese. Che però ha avuto grande risonanza per la capacità di descrivere i velari iniziatici con cui l’inganno avviluppa.
Il demistificare, nella sua ancora breve storia (ha poco più di 50 anni), continua questa complessità nella pars destruens, nel contrario che non indica la tessitura dell’inganno, ma che vuole stracciare quelli che riconosce come veli di Maya e cieli di carta — magari, ingannandosi.