Filiera

fi-liè-ra

Significato Filatoio; trafila; organo che nei ragni produce il filo; sequenza di operazioni necessaria a trasformare le materie prime in prodotti finiti

Etimologia dal frencese filière, derivato di fil, dal latino filum ‘filo’.

  • «Non mi fido, la filiera è poco trasparente.»

Specie se sei una parola, non sai mai quando una nuova primavera verrà a bussare alla tua porta. Noi abbiamo questo termine, ‘filiera’, che concepiamo come termine che riguarda il commercio, o più precisamente l’organizzazione produttiva della merce — ed è un concetto che ci interessa molto perché ci dà informazioni con cui orientiamo i nostri acquisti, pensiamo alle filiere corte, alle filiere 100% italiane. Ma che roba è, la filiera? Sarà parente della filiale?

No, la filiera è appesa a un filo — è legata etimologicamente al filo. L’origine è francese, la voce filière si trova attestata già alla fine del Duecento, ed è derivata di fil, dal latino filum. Da noi arriva nel Rinascimento, a metà Cinquecento, ed è il filatoio, la macchina per la filatura, che disciplina in un filo le fibre da tessere. (Peraltro nel Settecento questa semplice immagine sarà estesa al mondo biologico, e la filiera diventerà anche l’organo con cui i ragni formano il loro strabiliante filo.) Ancora però di strada per arrivare alla nostra filiera ce n’è.

La filiera, sempre in quegli anni, compare anche come strumento di lavorazione dei metalli duttili, quelli che si riducono facilmente in fili. È una maschera che presenta fori di sezione via via minore, e facendoci passare dentro il filo metallico lo si può assottigliare, gli si può dare una sezione poligonale e via dicendo. Ora, una roba del genere — uno strumento attraverso cui viene fatto passare qualcosa per dargli una forma — la chiamiamo con un altro nome, di solito: la trafila, come quella (di bronzo, come vuole una legge superiore) che estrude i nostri rigatoni e i nostri fusilli. E in effetti a fine secolo la filiera prende anche il significato di trafila.

Forse di qui abbiamo già capito.
La trafila in effetti suona nel nostro orecchio col significato figurato di sequenza di operazioni da seguire per ottenere un certo scopo. Certo, ha fatto in tempo a maturare una connotazione di spiacevolezza — non dico di aver passato tutta la trafila del menu degustazione, se mi è piaciuto. Il gusto è quello dell’idoneità burocratica.
Anche ‘filiera’ aveva maturato questo significato figurato, pure con questi tratti di lungaggine, noia, scrupolo, minuzia. Ma ha avuto in sorte di prendere meno, di attecchire in maniera meno popolare. Così quando si è profilato il concetto economico di sequenza di lavorazioni che in successione trasformano la materia prima in prodotto finito, e quindi di comparto industriale, la filiera lo ha raccolto con immediatezza, e in maniera ficcante. Ma ecco, è successo l’altro ieri: molti dizionari non troppo attempati non contemplano nemmeno questa filiera, che pare sia decollata sul finire degli anni ‘90 — quando forse un interesse sui trascorsi che portano il prodotto da noi si è fatto più generale.

Così, da modesto filatoio che era, ora la filiera arriva a ragionare dei grandi scambi vicini e lontani, che girano per la provincia e per il mondo, di rami produttivi — e noi con lei, con tutto il nostro bagaglio di idee e valori, ragioniamo dell’opportunità di filiere più brevi, di filiere controllate o trasparenti, dei cambiamenti nelle filiere di settore. Secondo una nuova filiera di significato.

Parola pubblicata il 31 Ottobre 2024