Gattabuia

gat-ta-bù-ia

Significato Galera

Etimologia etimo discusso.

A metà dell’Ottocento si attesta una nuova parola per indicare il carcere, la galera, il bagno penale: ‘gattabuia’. Si conquista un successo duraturo per un intreccio molto stretto di ragioni e suggestioni, e un intreccio molto stretto, tanto da non poter quasi essere sbrogliato, è quello della sua etimologia. C’è da camminare sulle uova.

Restando nell’evidenza dell’immediatezza, si potrebbe trattare di un incrocio fra ‘gattaiola’ e ‘buio’: il gatto è un animale eminentemente ladresco, lesto di zampa e imprendibile, e in un immaginario urbano evoca il temerario criminale con un bel mordente (Con un occhio si frigge il pesce con l’altro si guarda il gatto); dalla gattaiola entra ed esce dal luogo suo, il carcere, descritto con una semplicità drammatica: niente sole a scacchi, è un luogo soltanto buio. Se questa è la ricostruzione corretta, è una parola imperniata su analogie poetiche, ellissi e suggestioni tali che è un vero peccato non sapere chi se la sia inventata.

Altre ricostruzioni invece ci portano più lontano nel tempo - anche se non si può in nessun caso trascurare che ‘gattaiola’ e ‘buio’ hanno avuto un’influenza di rilievo nel modellare la sua forma finale. Secondo alcuni si dovrebbe pensare al greco katógeia, che descrive i sotterranei (káto sotto terra), termine poi passato e profondamente alterato dal latino, fino a diventare degli ipotetici catugia o catuia, o catorbia, che si ritrovano in alcuni dialetti italiani. In questo modo la gattabuia emergerebbe dal brodo dei dialetti che hanno ridigerito ma conservato storpiature millenarie di parole che hanno battuto il Mediterraneo di bocca in bocca, riportandoci la galera nella suggestione di un sotterraneo - in cui il ‘buio’ cala bene.

Rispetto ai suoi sinonimi spicca per il suo tratto popolare, che però non è volgare, anzi sfoggia una blanda ricercatezza, una certa sprezzatura (in quella magnifica sfumatura che si potrebbe descrivere come ‘da Topolino’); e senz’altro è fra quelli che si presta meglio all’uso scherzoso, forse per questo richiamo al gatto che non si può proprio ignorare. Eppure meglio di altre parole riesce a dare anche corpo sonoro e cupo al carcere: le occlusive g-t mimano un clangore di cancelli e serrature, mentre il suono scuro di ‘buio’ apre un sospiro, un gemito scuro. Così parlando con un vecchio amico ci dirà a mezza bocca chi di classe nostra è finito in gattabuia, ci si lamenta col politico del fatto che non tutti i problemi si risolvono mettendo gente in gattabuia, mentre la nonna minaccia il nipote discolo dicendogli che se continua così solo la gattabuia lo aspetta.

Parola pubblicata il 08 Aprile 2019