Grato

grà-to

Significato Riconoscente, che ha presenti e ricorda i benefici e i favori ricevuti; gradito, piacevole

Etimologia dal latino gratus ‘gradito, ben accetto’.

In mezzo a tutte le altre, alcune parole che a prima vista non si distinguono si rivelano delle vette, delle fonti primarie. Sono sorgenti di significato, e tentando di descriverle non si può fare altro che riattingervi — quasi non si possono spiegare senza usarle, come in una tautologia, un’ovvietà. Ma sono proprio questi punti della lingua, in cui i concetti girano senza essere trasmessi da altri, che richiedono un’attenzione particolare, perfino un po’ di raccoglimento.

Siamo davanti a un aggettivo che deriva dal latino gratus, e qui troviamo subito il primo dato peculiare: è una parola che è passata dal latino all’italiano per via popolare, non attraverso un recupero dotto, eppure si è conservata perfettamente, subendo solo un adattamento minimo. I nostri nonni lontani ne hanno avuto cura, ma è senz’altro una piantina adatta e resistente.

Che abbia uno speciale carisma si vede anche dal modo in cui il suo antecedente protoindoeuropeo si è diffuso in Eurasia negli scorsi millenni. Dal bretone al sanscrito, la diffusione in lingue che in qualche misura abbiano continuato a coltivarlo a partire dalla comune origine indoeuropea è impressionante. E c’è chi, col quadro davanti, si spinge a fornire un ritratto, o almeno una silhouette del significato che in origine, per quei nostri progenitori, si accompagnava al termine.

Noi con la gratitudine identifichiamo una forma di riconoscenza presente, di memoria di riconoscenza, che però non ha la lucidità bilanciata del riconoscere. Ha un certo impeto emotivo, un’immediatezza di piacere (non a caso il gradito e il buon grado hanno la loro radice nel gratus). C’è uno slancio di apprezzamento umile, e per certi versi amorevole, circa benefici, favori ricevuti. Ed è qui che si prova l’antica chiave e si vede che entra nella toppa: osservando il quadro delle progressioni ramificate ab antico fra gli studiosi c’è chi adombra, ma anche chi si sbilancia decisamente affermando, che l’origine prima della radice del gratus sia il lodare, il celebrare riferito al favore imperscrutabile della divinità — addirittura il farlo in canzone.

Questo è il punto, perfino buffo: non si è riconoscenti alla divinità. L’essere riconoscenti ha una complicità quasi paritaria, stavolta a te domani a me, mi ricordo della favola del leone con la spina nella zampa. Invece la gratitudine, proprio per la sua prospettiva priva di partite doppie, slanciata ma interiore, memore ma non troppo focalizzata sul discernimento — che anzi può essere vissuta in assoluto, senza che sia rivolta — si presenta come un piccolo, comune bastione di spiritualità. Il motore, celato o palese, spiegato o no, del nostro intimo celebrar cantando.

Da questa fonte prima (che porta anche la grazia e il grazioso, la gratulazione, il gratuito, il gradire, l’aggradare e il suo grado — e il grazie) scaturisce il mio essere grato a qualcuno per il sostegno che non mi ha fatto mancare, grato di poter passare un altro inverno insieme, o il modo in cui mi è grato il profumo che rientrando in casa sento già dalle scale, o quanto è per me grato l’incontro che non pensavo di fare. Poi è un aggettivo che troviamo anche in formule di cortesia più o meno fruste e sarcastiche — grato di una Vostra risposta mi pregio di salutarVi, ti sarei grato se tu non spendessi tutti i miei soldi — ma alla fonte l’acqua è sempre limpida e fresca.

Parola pubblicata il 18 Ottobre 2020