Inviscerare

in-vi-sce-rà-re (io in-vì-sce-ro)

Significato Come transitivo, far entrare nelle viscere, infondere, concepire; come intransitivo pronominale, addentrarsi, imprimersi

Etimologia voce dotta recuperata dal latino inviscerare, da viscera ‘visceri’, con in- illativo, cioè che descrive un moto verso l’interno o il basso.

L’immagine è talmente potente che in molti casi può risultare fin troppo intensa. Nella cucina della lingua va considerata come una spezia forte — anche se siamo abituati a un ben più aspro sviscerare, quindi non va temuta.

Far entrare nelle viscere. Nessuno stupore che i primi riferimenti del termine abbiano riguardato il cibo, anche se il colore è particolarmente fisico, assimilativo, quasi idraulico. Si può parlare di come alla mensa i cuochi ci inviscerino pietanze mediocri, di come il cane di bocca buona si invisceri con lo stesso gusto croccantini costosi o dappoco. Non stupisce nemmeno che, da premesse del genere, questo verbo arrivi alla conquista, alla fusione e all’infusione: lo stato aggressore si è inviscerato una porzione strategica di quelli vicini, nella nuova concezione vengono inviscerate idee passate, e ragioniamo delle diverse intenzioni che ci invisceriamo per un progetto comune. L’inviscerare, vediamo, è un inserire che infonde e concepisce: l’inviscerato diventa tuo e diventa te.

Questo è ancora più limpido nell’inviscerarsi (intransitivo pronominale). È un entrare, ovviamente nell’interno di qualcosa (ci si inviscera nel palazzo labirintico), ma anche un addentrarsi che ha tutta la versatilità degli usi figurati: mi inviscero nella lettura di una serie di libri fantasy (corpo ampio e vivo), mi inviscero nello studio di un artista (tanto che nel pensiero divento un po’ lui), e l’esperienza nuova e disorientante s’inviscera in me. E qui si capisce il punto geniale di questa parola, il cambio di passo: l’inviscerarsi è un imprimersi. Un segnare generativo che sconfina nella comunione. E c’è un’ultima cosa a cui badare: se mi inviscero in un argomento o se lo sviscero, alla grossa il significato è lo stesso; ma nel secondo caso uccido, trancio e faccio violare alla luce tessuti morti, nel primo mi inoltro e immedesimo in un tempio vivo e pulsante.

Il fatto che sia un termine desueto ce lo fa sentire strano, e ce lo può fare usare in maniera goffa. Ma una potenza comunicativa del genere val bene qualche imbarazzo.

Parola pubblicata il 03 Settembre 2019