Lodare
Scorci letterari
lo-dà-re (io lò-do)
Significato Elogiare, esprimere approvazione; celebrare, esaltare
Etimologia dal latino laudare, derivato di laus ‘lode’.
Parola pubblicata il 13 Novembre 2017
Scorci letterari - con Lucia Masetti
Con Lucia Masetti, dottoranda in letteratura italiana, uno scorcio letterario sulla parola del giorno.
Che cosa curiosa. Questa parola viene usata senza soluzione di continuità da millenni, con alterazioni minime; e in latino emerge come voce isolata, figlia unica, senza parenti.
Con il lodare e la lode impariamo a esser familiari fin dalla più tenera età: sono mezzi cardinali di approvazione sociale. Ora, il lodare è un atto verbale: non si loda a gesti. Consiste nel pronunciare (o scrivere) un elogio verso qualcuno o qualcosa, apprezzandone qualità e azioni. Lodo la tua risposta posata davanti alla provocazione, lodo la determinazione che ti ha portato a un risultato eccezionale, lodo la tua squisita cucina. E tale apprezzamento - trascendendo il bravo! brava! - può anche prendere il profilo di una celebrazione, di una vera esaltazione: l’amico loda con trasporto la sua nuova ganza, la preghiera è piena di lodi levate a Dio, il saggio storico loda le politiche di un antico sovrano.
È una parola dal suono evocativo: scivola liscio, intimo e serio, si afferma sui denti. Come ci aspettiamo faccia un vero approvare.
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(S. Francesco d’Assisi, Cantico di frate sole, vv. 11-20)
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle. […]
Laudato sì’, mi’ Signore, per sor’acqua,
la quale è multo utile et humile et preziosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,
per lo quale enallumini la nocte:
et ello è bello, et iocundo et robustoso et forte.
Con questo celebre canto di lode nasce, nel 1225, la nostra letteratura. E in realtà la lode è l’arteria principale che irrora tutta la letteratura delle origini: nelle confraternite si diffondono le laudi (preghiere cantate) mentre, in ambito profano, i poeti cantano le lodi della donna amata.
Per questo se mi chiedessero: “Da dove nasce la poesia?” io risponderei d’impulso: “Dalla meraviglia.” E non è una virtù da poco: richiede lo sguardo di un bambino o di un giullare (come Francesco amava definirsi), che si lasci colpire dalla bellezza.
Certo questo testo non è un inno alla natura, ma a Dio: infatti nella mentalità medievale ogni aspetto della vita è segno del divino. Tuttavia questo non svilisce la bellezza dei singoli elementi; al contrario, forse Francesco scrive proprio in polemica con il catarismo, un’eresia che svalutava la terra in favore del cielo.
La chiave del testo sta forse nella particella ‘per’, che introduce quasi tutti gli elementi elencati. La spiegazione può sembrare immediata: “sii lodato a causa di…”. Tuttavia ‘per’ può significare anche ‘attraverso’: la lode arriverebbe a Dio per mezzo del creato, che è espressione della sua potenza e del suo amore.
Del resto, secondo la Bibbia, è proprio Dio a pronunciare la prima lode: “E vide che era cosa buona”; una lode performativa che, affermando la bellezza, la fa essere. Ed anche la lode di Francesco ha una componente performativa: non solo valorizza ciò che incontra, ma trasforma anche il significato delle esperienze negative.
Dopo gli elementi naturali, infatti, l’autore cita “infermità e tribolazione”, e perfino “sorella morte”: un rovesciamento che ha dell’assurdo. Eppure, in qualche modo Francesco riesce a ricondurre tutta l’esperienza umana sotto il segno della gratitudine. Così la vita diventa in pratica un circuito di lode, che da Dio va all’uomo e viceversa: un circolo in cui la bellezza viene riaffermata e la sofferenza, misteriosamente, riscattata.