Maggese

mag-gé-se

Significato Di maggio; pratica agricola che consiste nel lasciare a riposo un terreno arato, e il terreno stesso messo a riposo

Etimologia derivato di maggio.

Parlare di maggese ci porta nel tratto più carismatico della vita dei campi. Infatti si tratta di una pratica di cura di un campo, di origine antiche ma che ha ancora il suo ruolo specie nelle colture di terreni aridi.

Consiste in una serie di arature successive a diverse profondità, condotte solitamente fra la fine dell’inverno e l’inizio dell’estate su un campo lasciato a riposo per un anno. Mettere un campo a maggese infatti significa curarlo facendogli saltare un turno di coltivazione, volentieri all’interno del quadro più ampio della rotazione delle colture, che alterna sulla stessa terra coltivazioni diverse al fine di mantenere il terreno ricco.

Ora, il suo nome lascia pochi dubbi sul fatto che originariamente si riferisca al mese di maggio. In effetti, ‘maggese’, anche se suona strano, significa semplicemente ‘di maggio’ (pensiamo al fieno maggese), e qui c’è il dato più buffo. L’italiano è una lingua raffinata nel descrivere i tagli di mondo più sottili, ma quando si viene agli aggettivi dei mesi si mostra goffa e incerta. Sono pochi quelli che all’orecchio non ci suonano strani: agostano, settembrino, novembrino, dicembrino. Anche ottobrino, forse, non suona male, anche se è già un po’ ingessato. Il marzolino funziona bene ma è un po’ lezioso. Se si inizia a parlare di giungnolino, di aprilino o aprilante, di maggese o maggengo, o — Giove! — di lugliatico, ci ritroviamo davanti a parole marziane, che esistono solo in accezioni specifiche e proverbiali. (Gennaio e febbraio, poi? Chi lo sa.)

Forse perché in effetti l’anno è un’entità più complessa e sfumata di quella che cerchiamo di scandire in mesi — battute imperfette di una partitura naturale che di giro in giro le rispetta un po’ alla grossa. Le realtà che siano fissamente proprie di un mese sono circoscritte — e son certe solo alcune celesti che non sono toccate dal clima variante, o alcune umane legate ai nostri costumi calendarî, come la disposizione degli astri dicembrini, il tramonto settembrino che si contrae veloce di giorno in giorno, le code agostane sull’autostrada.

Si legge che la tecnica del maggese (nome attestato nel Rinascimento) si riferisce a ‘maggio’ perché è a maggio che venivano fatte le relative lavorazioni sul campo. Ma sembra un’affermazione un po’ sfocata: la lavorazione del maggese non è di un solo mese. Eppure, se il riferimento a maggio, per quanto chiaro, non è troppo consistente, va apprezzato comunque che c’è una forte capacità poetica in questo termine: per significare una pratica agricola che conserva e rigenera la fertilità del terreno si rifà al nome di un tempo scandito nel ciclo del cielo, che non è un tempo qualunque ma l’antonomasia primaverile della giovinezza, della fioritura, della spensieratezza, dell’amore.

Di qui il maggese diventa il riposo rigenerante. Raccontiamo di come in vacanza fossimo in maggese col telefono spento, di come si lasci a maggese un’idea che ha bisogno dei suoi tempi misteriosi per dare frutto, di come una parola dimenticata a maggese possa tornare con significati nuovi. Un taglio inatteso del maggio, che ci racconta il respiro e il sollievo della terra, in cui è bello riconoscere anche l’umano.

Parola pubblicata il 02 Settembre 2020