Maramaldo
ma-ra-màl-do
Significato Persona vile che infierisce su chi non può reagire
Etimologia dal cognome del capitano di ventura Fabrizio Maramaldo.
- «Che maramaldo, lo ha silurato appena lo ha visto in difficoltà.»
Parola pubblicata il 27 Luglio 2024
Anche se di rado è qualcosa di cui si può aver la percezione in vita, dev’essere strano passare alla storia per essere un fetente, una persona completamente spregevole. Dopotutto chiunque crede almeno qualcosa di positivo di sé. E però è qualcosa che è successo tante volte da non poterle contare, dai tempi più antichi a oggi — è un’eventualità che la gente in vista deve continuare a mettere in conto, la storia popolare non ama ombreggiature e mezze misure. Ma passare con queste qualità al dizionario è veramente l’onta suprema. Non si legge di te sul manuale di Storia che hai fatto questo e quello, che sei stato così e cosà: sotto il tuo nome c’è una definizione di persona fetente, e accanto il tuo ritratto. Un’antonomasia tremenda.
1530, da quasi un anno la Repubblica Fiorentina è assediata dall’imperatore spagnolo Carlo V, alleato del papa: vogliono la restaurazione dei Medici. Siamo nel bel mezzo delle cosiddette guerre d’Italia, che ci capita di evocare in modo ricorrente perché mentre la ricchissima Penisola era un campo di battaglia su cui potenze straniere con rivendicazioni disparate la facevano a pezzi, incidentalmente si raggiungeva nelle arti l’apice del Rinascimento.
Siamo nel pistoiese, a Gavinana. Le forze di Firenze hanno finora ostentato sicumera, ma ormai c’è poco da fare. A guidare l’ultima resistenza fiorentina, il condottiero Francesco Ferrucci. È agosto quando avviene il confronto decisivo con le forze imperiali, nel tentativo di rompere l’assedio: ma quelle sono troppo superiori.
Secondo la narrazione più diffusa, e recepita dall’uso linguistico, nella battaglia di Gavinana, che annovera fra i caduti il generale nemico, il principe d’Orange, l’ultimo manipolo fiorentino si arrende, e Francesco Ferrucci viene catturato. Viene condotto disarmato dinanzi ad uno dei comandanti imperiali: il soldato di ventura Fabrizio Maramaldo. Questo è gonfio di rancore per un’offesa che tempo prima, nell’assedio di Volterra, Ferrucci non gli aveva fatto passare, e quindi adesso ha tutta l’intenzione di fargli pagare vigliaccamente le onte subite; Ferrucci gli grida «Vile! Tu uccidi un uomo morto!», ma Maramaldo lo trafigge, vendicandosi sordidamente — come il vile asino della favola di Fedro, che calcia il muso del leone morente, il quale pure gli diceva «così subisco due volte la morte». La vita imita l’arte, si direbbe.
In realtà qui dell’arte c’è, questa vicenda molto probabilmente è romanzata, ma alla lingua non interessa molto il vero, le interessa il rappresentativo, ciò che funziona bene per rendere le maschere dell’umano. E giusto da questo episodio abbiamo in sorte di poter astrarre un archetipo: il prepotente spregevole che si fa forte coi deboli, che vessa gli inermi, che trova le proprie infami rivalse senza onore. Groppo di rancore, volentieri tradisce, ed esercita la sua malvagità in maniera spavalda e in tutta sicurezza infierendo su chi è sconfitto, su chi è indifeso, su chi non può reagire. Un fiorellino di persona.
Posso parlare del padrone che fa il maramaldo con lavoratori tenuti in schiavitù, posso parlare della vendetta maramaldesca del politico che fa estromettere chi lo criticava, del bullo che maramaldeggia con i compagni più remissivi finché non compare all’orizzonte un adulto. E il fatto che il maramaldo sia derivato in maramaldesco e maramaldeggiare testimonia la vitalità di questa parola, per quanto sofisticata.
Si nota bene che nonostante il fine pedigree storico è una parola estrema nei significati, e va riservata a casi particolarmente meritevoli — se non la usiamo ironicamente, e parliamo di come l’amico scarso maramaldeggi a calcetto ora che abbiamo problemi al ginocchio.
In ogni modo, è un successo a ogni livello: le parole con una storia piacciono, questa storia piace, e nel Risorgimento la classe dei condottieri italiani vive una seconda primavera di celebrazioni che ne rivitalizza e restaura le vicende. Piace anche il fatto che il significato sia graffiante, e versatile — ma soprattutto, poche collezioni di parole ci stanno più a cuore di quelle che vertono sull’essere carogne.