Manipolo
ma-nì-po-lo
Significato Fascio, pugno di spighe e simili; unità della legione romana; drappello di pochi elementi; piccolo gruppo che s’impegna per un ideale comune
Etimologia voce dotta recuperata dal latino manìpulus ‘manciata, fastello, compagnia di soldati’, composto di manus ‘mano’ e da un derivato della radice di plère ‘riempire’.
- «La sfida è stata raccolta da un manipolo di persone temerarie.»
Parola pubblicata il 21 Gennaio 2024
Questa parola ha un’accezione militare che nei millenni ha avuto un carisma tale da adombrare le altre accezioni. Il risultato è che l’immagine originaria del manipolo, sebbene sia appoggiata in piena evidenza, non si nota — e non riusciamo più ad accedere alla sua semplice vertigine.
È una parola che ha la veste di un’unità di misura ancestrale: è ciò che sta in una mano, ciò che riempie la mano — pensiamo al fascetto di spighe, alla manciata, al mannello. Notiamo che la sua bellezza sta anche nella sua linearità, in una chiarezza senza metafore, metonimie, sineddochi, ellissi. Il manipolo è un manopiena. Così, con la forza della quotidianità e del lavoro, si candida ad essere un’unità di unità capace di travalicare in altri campi. Come appunto nell’unità dell’esercito.
Il manipolo è famosamente noto come porzione elementare della legione romana — ma cerchiamo un po’ di sincerità.
Parlare de la legione romana in assoluto, contando che ha avuto una storia di una tredicina di secoli passati dai sette colli al tracollo, è una sfocatura. Anzi, aggiungiamo che quando si parla dell’organizzazione militare dell’antica Roma non possiamo nemmeno avere la bizzarra pretesa di trovare una qual coerenza matematica — ad esempio, la centuria era normalmente di sessanta soldati, i dieci contuberni che formavano una centuria erano solitamente di otto uomini guidati da un decano. E vabbè, si approssima e si usano le parole che si hanno.
Almeno, il manipolo sarà davvero l’unità elementare delle forze armate romane? Be’. Durante la Media Repubblica il manipolo fu un’unità che ebbe un’importanza centrale — si parla direttamente di esercito manipolare — ma era composto da due centurie. Siamo sulle centoventi persone, quindi (il più delle volte). La fortuna del manipolo iniziò con la Seconda guerra sannitica (quella delle forche caudine, per intenderci, siamo alla fine del IV secolo a.C.) e svanì dopo la Seconda guerra punica (dal II secolo a.C furono preferite formazioni più ampie, come la coorte); ma il termine ha continuato a echeggiare, anche perché questo periodo della Repubblica ha un carisma storico unico.
Non è rimasto il riferimento iconico al manipolo di spighe, insegna originale dei manipoli romani; però è rimasto come riferimento a unità di eserciti moderni, come quello piemontese del XVIII secolo, presso cui era l’ultima suddivisione del reggimento. Eppure l’impressione con cui ha finito per affermarsi traligna dall’originale.
Il manipolo che immaginiamo oggi — gruppo militare o no che s’impegna in uno sforzo comune, ideale o no — è davvero molto più ristretto, nel numero. Se dico che allo spettacolo in platea c’era un manipolo indefesso, non intendo che il piccolo teatro di provincia traboccava di più di cento persone, anzi. Se dico che l’iniziativa politica è stata presa da un coraggioso manipolo, mi immagino uno scarno drappello coordinato ed energico. E anche quando si parla di manipoli di soldati, tendenzialmente si descrivono operazioni speciali condotte da squadre di pochi componenti.
C’è stata un’estremizzazione piuttosto abusiva, in questa figura di gruppo, ma la lingua segue anche il fascino — e il manipolo può contare su un tratto di irriducibilità molto più smaccato se è composto da poca gente.
Ma è anche bello recuperare il senso di fascetto, pugnello, grappolo minuto abbastanza da poter essere tenuto in mano — resta un’accezione letteraria, ma parla una lingua ancestrale. Nel baule, un manipolo di fotografie che non sappiamo nemmeno più chi rappresentino; dietro la schiena, un manipolo di fiori di campo o un manipolo di lamponi raccolti per sorpresa; e ci risuona in mente un manipolo di versi di canzone.
Hanno una bellezza speciale, le parole che si percepiscono nel corpo.