Monodia
Le parole della musica
mo-no-dì-a
Significato Canto a una sola voce o all’unisono, di solito contrapposto a polifonia
Etimologia prestito dal latino tardo monòdia, dal greco monoidía composto di mónos ‘solo’ e oidé ‘canto’.
- «Come sono affascinanti le monodie etniche orientali!»
Parola pubblicata il 15 Settembre 2024
Le parole della musica - con Antonella Nigro
La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale
Nelle Mille e una notte l’arguta principessa Sheherazade arricchiva il racconto delle sue seducenti storie cantando. Si accompagnava con il liuto, suonando le stesse note del canto, magari con qualche piccolo abbellimento o variazione. Bene, possiamo dire che la principessa eseguiva una monodia: un canto costituito da un’unica linea melodica. Ancora oggi la musica di molte culture – araba, persiana, indiana e non solo – è monodica; a volte, può essere sorretta da un suono-pedale a mo’ di bordone.
Anche l’Occidente ha una lunga tradizione di musica monodica, che comincia nell’antica Grecia e continua nel canto gregoriano, nelle sequenze e negli inni, nei canti di trovatori e trovieri, nelle laudi, nelle cantigas, nel canto dei minnesänger, o in quello della liturgia bizantina e russa.
Nella lingua italiana la parola fu ripresa, direttamente dal greco, verso la seconda metà del Cinquecento e secoli dopo conoscerà anche qualche utilizzo letterario. L’immancabile Gabriele D’Annunzio, scriverà infatti in Forse che sì forse che no: «Era un arioso, era un lamento, una monodia di Cristoforo Gluck, simile a una pura nudità dolorante, nel suo proprio fulgore». E ancora il Vate, a proposito del filosofo e poeta Henri-Frédéric Amiel, parlerà metaforicamente di «una monodia lamentosamente cantata sull’orlo dell’abisso».
Riavvolgiamo però il nastro. Curiosamente, nei primi decenni del Seicento l’umanista Giovanni Battista Doni impiegò il termine monodia per descrivere un nuovo tipo di musica vocale che si stava affermando, solistica ma accompagnata. Sembra una contraddizione: se era mónos, ‘da sola’, come poteva essere accompagnata? Doni, nonostante sapesse bene che questo canto fosse eseguito insieme a un cembalo o a un liuto che realizzavano il continuo, lo chiamò monodia proprio prendendo ‘esempio dagli antichi’. L’erudito reputava che il linguaggio polifonico dei madrigali fosse superiore, ma all’epoca la monodia si stava allargando a macchia d’olio perché era intesa – parole di Doni – come «bello e grazioso cantare», rispettoso dei «sentimenti del poeta». Soprattutto, permetteva di comprendere bene il testo.
In una composizione cantata il testo è fondamentale, sia come portatore di elementi ritmici, accentuativi e intonativi, sia come veicolo semantico. Musica e poesia erano in qualche modo quasi consustanziate, al punto tale che la bellezza di una composizione musicale poteva essere compromessa anche soltanto traducendone i versi da una lingua a un’altra. Dante scriveva nel Convivio: «sappia ciascuno che nulla cosa per legame musaico armonizzata si può della sua loquela in altra transmutare sanza rompere tutta sua dolcezza ed armonia».
Come alcuni lettori già sanno, i madrigali e le altre forme polifoniche presentavano invece linee vocali spesso non simultanee e perciò le parole risultavano talvolta difficilmente comprensibili. Con la nuova monodia seicentesca si ascoltava finalmente (si fa per dire) una voce sola supportata dall’accompagnamento, che non veniva messa in ombra da altre voci concomitanti. Dunque il termine monodia, all’interno dell’espressione ‘monodia accompagnata’, si giustifica perché si applica a una voce che canta da sola, senza altri cantanti.
Questa svolta, dopo la secolare parentesi polifonica, sarà determinante. Possiamo infatti facilmente intuire come un’opera lirica o una cantata, arrivando fino alla canzone pop, siano figlie di quei primi esperimenti di ‘monodia accompagnata’. Insomma, con un paradosso cronologico, anche una canzone di Fabrizio De André potrebbe essere definita tale.
Invece la monodia non accompagnata, in tutte le sue declinazioni culturali ed etniche, pervade da sempre il mondo, sia in forma solistica che corale (in questo caso intesa come canto di più persone all’unisono). Eppure oggi in Occidente la musica è quasi esclusivamente polifonica, nel senso che presenta comunque una trama armonica. Ma non quando cantiamo sotto la doccia.