Umanesimo

Le parole e le cose

u-ma né-si-mo

Significato Movimento culturale medievale e rinascimentale che riscopre la cultura classica e rivaluta la centralità terrena dell’umano e la sua libertà

Etimologia da umanista, derivato dal latino tardo medievale humanista ‘insegnante di lettere classiche’ — dette humanae litterae.

  • Davanti alla complessità dei problemi del mondo, l'appello alla rifondazione di un nuovo umanesimo si fa sempre più risonante.

È illuminante constatare quanti libri oggi in commercio rechino, nel titolo o nel sottotitolo, l’espressione 'nuovo umanesimo', non solo come idea generale – Idee per un nuovo umanesimo; Per un nuovo umanesimo universale – ma anche applicata ai più diversi campi dell'attività umana – Proposte per un nuovo umanesimo sanitario; Impresa e pedagogia per un nuovo umanesimo del lavoro e altri ancora, sino a Matrimonio e processo per un nuovo umanesimo. Una presenza tanto cospicua non può che essere spia di un'esigenza sentita e diffusa. Per capire perché – e cosa s'intenda con 'nuovo umanesimo' – bisogna ovviamente partire dall'Umanesimo originale, quello con la U maiuscola.

Humanisti, nel Quattro e Cinquecento, erano detti i docenti di humanae litterae, o studia humanitatis, ossia grammatica, poesia, storia, filosofia ecc. (discipline che ancora oggi chiamiamo 'umanistiche'). Il termine, insomma, indicava un'occupazione, così come 'biblista', 'economista' o 'camionista'. Certo, non era tutto qui: gli humanisti quattrocenteschi si definivano homines universales, convinti che fosse la cultura classica a rendere gli umani veramente, pienamente umani. La pensava così, quattro secoli dopo, anche Friedrich Immanuel Niethammer, filosofo e pedagogista tedesco, per il quale un'educazione moderna dimentica delle humanae litterae sarebbe stata pura barbarie, non Humanismus bensì Animalismus. Una cinquantina d'anni più tardi, sempre in ambito tedesco (ma generando presto equivalenti nelle altre lingue europee), il termine Humanismus fu infine usato per indicare quel movimento culturale che, a partire dalla fine del Trecento, avrebbe ‘preparato’ il Rinascimento attraverso il recupero della cultura classica liberata dalle incrostazioni medievali.

Ma qual era la filosofia dell'Umanesimo? All'inizio, per la verità, ce n'era assai poca: il primo Umanesimo, detto 'civile', in barba a Platone e Aristotele disprezzava la vita contemplativa esaltando quella attiva, l'impegno concreto nell'agone politico e sociale delle libere città: «Tu rimani pure pieno di contemplazione […] Che io, invece, sia sempre immerso nell'azione, teso verso il fine supremo; che ogni mia azione giovi a me, alla famiglia, ai parenti» scriveva Coluccio Salutati, cancelliere della Repubblica fiorentina come gli altri intellettuali maggiori del primo Umanesimo, Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini. In seguito, però, anche per l'appassire della florentina libertas sotto la signoria dei Medici, la pura speculazione dovette apparire agli umanisti assai meno spregevole.

Per avere un'idea del cambio di atmosfera, basta leggere un passo del Discorso sulla dignità dell'uomo (1486) di Pico della Mirandola, tradizionalmente considerato il 'manifesto' del pensiero umanistico: «… messa da parte ogni cura delle faccende private e pubbliche, mi sono dedicato interamente all'ozio contemplativo…». Ma a parte questo, il Discorso di Pico riassume perfettamente il nocciolo filosofico dell'umanesimo: «l'uomo» è «un grande miracolo e un essere senza dubbio degno di ammirazione», mediatore tra cielo e terra (la sua anima, come aveva scritto qualche anno prima Marsilio Ficino, tra i massimi pensatori umanisti, è copula mundi – letteralmente ‘legame, unione del mondo’), perché Dio, a differenza di quanto fatto con le altre creature, non gli ha dato una funzione e una natura fisse, lasciandolo così artefice del proprio destino.

Marsilio Ficino, Giovanni PIco della Mirandola e Agnolo Poliziano, ritratti da Cosimo Rosselli in un affresco della Cappella del Miracolo del Sacramento, presso la chiesa di Sant'Ambrogio di Firenze, si mostrano posati e innocui anche se stanno scardinando i vecchi paradigmi del mondo.

È su questi concetti di centralità e libertà umana che si fonda il concetto moderno dell'umanesimo, inteso non come periodo storico ma come visione del mondo, basata sul valore dell'umano e sulla fiducia nella sua capacità di autodeterminarsi, migliorando sé stesso e la realtà mediante la ragione e rifiutando ogni superstizione o imposizione ingiustificata. È questo che significano innanzitutto l'inglese humanism, il francese humanisme, il tedesco Humanismus e lo spagnolo humanismo, mentre il nostro 'umanesimo' indica primariamente quello rinascimentale, ragion per cui si usa in genere la variante umanismo per riferirsi a quello moderno. Questioni di denominazione a parte, in questo senso l'umanesimo è visto come un'attitudine atemporale, che ha trovato piena espressione nell'Umanesimo storico ma in realtà nasce ben prima della fine del Trecento, accompagnando il percorso della civiltà come una sorta di costante umana.

Da qui la rivendicazione del termine nell'ambito di concezioni assai diverse tra loro (umanesimo esistenzialista, cristiano, marxista…) e soprattutto la sua riproposizione come istanza perpetua del genere umano, come antidoto a tutto ciò che si considera 'inumano': la guerra, il totalitarismo, lo sfruttamento economico, l'intolleranza, il razzismo. Ma tutte queste cose non sono Animalismus: le hanno create gli umani, non gli animali. Essere ontologicamente liberi – come puntualizzava Pico nel suo Discorso – significa proprio questo: poter scegliere, essendo capaci sia di elevarsi al sublime che di degenerare al livello dei bruti; di affrescare la Cappella Sistina e costruire Auschwitz; comporre l'Inno alla gioia e massacrare a Bucha. Non c'è scampo: siamo per forza, allo stesso tempo, il problema e la soluzione.

Parola pubblicata il 19 Aprile 2022

Le parole e le cose - con Salvatore Congiu

I termini della filosofia, dai presocratici ai giorni nostri: l’obiettivo è sfilare parole e concetti dalle cassette degli attrezzi dei filosofi per metterli nelle nostre — rendendo ragione della dottrina con la quotidianità. Con Salvatore Congiu, un martedì su due.