Dubbio
Le parole e le cose
dùb-bio
Significato Privo di certezza, discutibile; stato d’animo di incertezza, sospetto; problema, punto controverso; in filosofia, atteggiamento metodologico di sospensione del giudizio
Etimologia voce dotta recuperata dal latino dubius ‘indeciso’, propriamente ‘incerto fra due’, derivato di duo ‘due’.
Parola pubblicata il 08 Marzo 2022
Le parole e le cose - con Salvatore Congiu
I termini della filosofia, dai presocratici ai giorni nostri: l’obiettivo è sfilare parole e concetti dalle cassette degli attrezzi dei filosofi per metterli nelle nostre — rendendo ragione della dottrina con la quotidianità. Con Salvatore Congiu, un martedì su due.
Tutti i filosofi dubitano. Fin qui, niente di straordinario: più che un ingrediente fondamentale, il dubbio è da sempre ritenuto condizione imprescindibile del filosofare: se non si diffida di ciò che appare e delle opinioni mutevoli che ne hanno gli umani, non si può giungere alla vera conoscenza. Ma c'è dubbio e dubbio: quello di Socrate e Platone è funzionale, appunto, all'ontologia, al disvelamento del vero essere; è un dubbio metodologico. Il dubbio scettico, invece, è molto più radicale: abolisce l'ontologia – non c'è alcun 'vero essere', solo apparenze.
L'iniziatore dello scetticismo fu Pirrone di Elide, che prese a diffondere le sue idee intorno al 323 a.C., circa 15-20 anni prima che Epicuro e Zenone di Cizio fondassero, rispettivamente, il Giardino e la Stoa, ma a differenza di questi ultimi non aprì alcuna scuola e non scrisse nulla. La cosa non sorprende affatto, date le sue idee: secondo Pirrone – che aveva partecipato alla spedizione di Alessandro Magno in Oriente, dove era entrato in contatto con saggi indiani e persiani – tutte le cose sono «senza differenza, senza misura e senza discriminazione»: le nostre percezioni e opinioni su di esse non sono, pertanto, né vere né false. La realtà, insomma, è indifferenziata e inconoscibile, perciò agli umani non resta che sospendere il giudizio (epochè) astenendosi dal dirne qualunque cosa (afasia), in modo da raggiungere l'imperturbabilità (atarassia).
Questa posizione teoretica per cui «ogni cosa è non più di quanto non è» e «ogni cosa è e non è», doveva giocoforza ripercuotersi nella vita pratica: come per epicurei e stoici, anche per gli scettici la filosofia era anzitutto 'arte del vivere'. Ecco quindi le testimonianze antiche raccontarci di un Pirrone che ostenta indifferenza ai pericoli per dimostrare di non prestar fede ai sensi, seguito da presso, ogniqualvolta esce di casa, da amici preoccupati che non precipiti in un burrone, sia sbranato dai cani o investito dai carri.
Pirrone, su una nave in mezzo alla tempesta, addita un maiale che smangiucchia impassibile quale esempio di saggezza.
Ora, a parte l'incredulità sul fatto che il Nostro, non accompagnato, si sarebbe davvero lasciato cadere nei precipizi, fu abbastanza facile per gli avversari obiettare che quella pirroniana, come filosofia di vita, era assai poco praticabile: nella quotidianità abbiamo bisogno di prendere qualcosa per vero, non possiamo diffidare di tutto allo stesso modo. Inevitabile, quindi, che i filosofi scettici successivi correggessero il tiro: secondo Arcesilao, nella vita pratica lo scettico doveva usare come criterio l'eulògon (il ragionevole, il plausibile), mentre Carneade – sì, proprio quello reso famoso da Manzoni nei Promessi Sposi («Carneade! Chi era costui?») – preferiva parlare di pithanòn (verosimile, persuasivo).
In questo scetticismo 'mitigato', evidentemente, si perdeva la carica radicale e rivoluzionaria della dottrina pirroniana, che a sua volta, peraltro, era non solo impraticabile ma anche teoreticamente contraddittoria: è stato giustamente osservato che quello di Pirrone è paradossalmente un dubbio dogmatico, perché piuttosto che dubitare della conoscibilità del reale afferma categoricamente che è inconoscibile, senza applicare il dubbio alla sua stessa posizione. Dal punto di vista morale, poi, gli scettici finivano per cadere nel puro conformismo: giacché nessuna azione o principio erano migliori di altri, a loro avviso, tanto valeva seguire i costumi correnti, fare come tutti.
Ma cosa rimane, allora, della dottrina scettica oggi? Il dubbio, naturalmente: non a caso, più che una scuola lo scetticismo è stato un atteggiamento che ha attraversato i secoli fino a noi, mettendoci in guardia dalle facili certezze inindagate. Ma c'è di più. Gli scettici, al pari di epicurei e stoici, vedevano la filosofia come terapia, medicina dell'anima: dubitare di tutto, per Pirrone e soci, serviva ad ottenere l'eudemonia, ad essere felici. Un'affermazione che suona quasi incredibile, data l'opinione comune che gli esseri umani abbiano bisogno di certezze, giacché il dubbio paralizza l'azione e fiacca la volontà, rende amletici – tanto più oggi, in un mondo sempre più complesso e talvolta indecifrabile, che genera in molti un bisogno convulso di verità purchessia, di risposte facili a questioni difficili. E allora, lasciamo che sia il dottor Bertrand Russell a prescriverci la medicina del dubbio per le anime di oggi e di domani: «Insegnare a vivere senza la certezza e tuttavia senza essere paralizzati dall'esitazione è forse la funzione principale cui la filosofia può ancora assolvere, nel nostro tempo, per chi la studia».