Refuso

re-fù-so

Significato In tipografia, carattere usato erroneamente al posto di quello giusto; errore di stampa; errore di battitura

Etimologia dal verbo veneziano refónder ‘confondere’.

  • «È un mero refuso, lo correggeremo.»

Questa non è solo una parola imprescindibile per il tipo preciso di errore che indica, con connotati particolari: ha modo di raccontarci una pagina di storia delle più interessanti. Infatti, anche se non sembra, parlare del termine ‘refuso’ significa tornare in una Venezia al suo apogeo.

La vulgata di Gutenberg che stampa la Vulgata con una tecnica di stampa a caratteri mobili è arcinota — ma è un’invenzione da considerare bene. Da un lato non è un’invenzione proprio nuova, in Corea e in Cina si stampava più o meno così da secoli; dall’altro, in questa occasione furono trovate soluzioni tecniche nuove, ma soprattutto fu un’innovazione portata in un contesto che era pronta ad accoglierla in maniera totale. È il successo della stampa a caratteri mobili in Europa la vera, profonda novità.

In meno di vent’anni dai primi risultati di Gutenberg (del 1453), a Venezia s’iniziò a stampare; altri vent’anni dopo vi arrivò Aldo Manuzio, editore geniale a cui dobbiamo buona parte del modello che abbiamo in mente quando pensiamo all’oggetto-libro. Negli anni ‘50 del secolo successivo — si calcola — metà dei libri stampati nell’intera Europa era stampata a Venezia.

Ora, non è difficile immaginare come una delle grandi sfide in questa produzione sia l’ordine. L’ordine materiale del laboratorio, dobbiamo intendere: l’organizzazione sistematica in cassetti e l’uso continuo di migliaia di caratteri metallici minuti e similissimi, da prelevare e riporre, prelevare e riporre, divisi non solo per lettera, ma per tipo di carattere, serie, senza contare che fra questi glifi ci sono anche numeri, punteggiatura, e per non parlare di stili, corsivi, grassetti e via dicendo.

In veneziano il verbo refónder ha il significato di ‘confondere’. Ed è precisamente qui, in questi arsenali dell’editoria, che il participio passato del verbo, ‘refuso’, diventa la confusione fra caratteri nella composizione delle pagine — magari non fra lettere, ma anche solo fra stili, serie, famiglie diverse — o la loro mancanza, o la loro aggiunta, o la loro inversione. C’è chi ha ricostruito invece come il termine sia da ricollegare al latino refundere nel senso di un ‘riversare’ che coglie proprio il riversare i caratteri metallici nel cassetto giusto, anzi sbagliato.

Di qui, il refuso si fa più genericamente errore di stampa. Tant’è che anche oggi, che pure non si stampa proprio alla maniera di Manuzio, possiamo trovare dei refusi nei libri che compriamo. Sono errori compositivi, che non investono il pensiero del contenuto, ma la sua realizzazione pratica in un’infilata di caratteri successivi. E proseguendo per la via lungo una fruizione e una produzione tutta digitale dello scritto che leggiamo, il refuso si fa anche errore di battitura — e quindi errore minuto, di superficie, piccola svista di realizzazione, per quanto magari anche un po’ più grossa di un mero scambio di caratteri.

Così riconosciamo come refuso la lettera sbagliata, che piuttosto sarebbe dovuta essere quella che sulla tastiera le sta accanto, refuso un articolo determinativo ripetuto o che manca, refuso un avanti Cristo per un dopo Cristo. Ma magari diciamo refuso anche l’errore che intendiamo minimizzare: refuso l’errore di calcolo, refuso quello che solo in quel momento scopriamo essere un errore grammaticale, refuso il dato riportato in modo madornalmente sbagliato.

Senza le serie implicazioni dell’errore, senza nemmeno il rilievo singolare dello sbaglio, e senza la valutazione contenutistica di inesattezze e imprecisioni, il refuso stacca i sinonimi per clemenza, nell’operatività conscia della difficoltà di ottenere sequele senza fallo di migliaia di segni organizzati — conscia (anche convenientemente) del chi non fa non falla.

Parola pubblicata il 07 Settembre 2023