Sfoggiare
sfog-già-re (io sfòg-gio)
Significato Mettere in mostra con compiacimento, specie qualcosa di sfarzoso
Etimologia composto parasintetico di foggia, probabilmente variante di forgia.
- «Guarda quel cagnetto come sfoggia il bastone che ha trovato.»
Parola pubblicata il 11 Febbraio 2025
Ma che ha a che fare lo sfoggiare con la foggia? Perché è chiaro: per capire questo modo di mostrare, di ostentare, di pavoneggiarsi con qualcosa, è importante capire che cosa sia la foggia — cosa mica banale. E per capirlo dobbiamo andare in fabbrica.
Abbiamo tante figure, tante immagini e tante idee che ci si sovrappongono in mente pensando alla ‘fabbrica’, così tante che la sua consistenza originaria, squadernata lì in bella vista, risulta del tutto invisibile. La fabrica latina è la bottega del fabbro — più in generale potremmo dire dell’artigiano, ma parlando della fucina abbiamo già avuto modo di notare che quello del fabbro non è un negozio come gli altri. Passata e alterata di bocca in bocca per secoli, in francese ‘fabrica’ si manifesta come forge, la fucina. E con tutta probabilità ‘foggia’ è una variante del francesismo ‘forgia’. Ma ora c’è da fare un salto di concetto che richiede una certa fantasia poetica.
La foggia per noi è il modo in cui sono fatte le cose, che si declina in forma, in aspetto esteriore. Nel medioevo il volgo vive di autoproduzione; ma ci sono alcune cose che non si possono fare per conto proprio, che richiedono una certa infrastruttura — pensiamo al mulino, al forno. Specie il fuoco, quando non è focolare domestico, è difficile da domare, e la fucina, quando c’è, resta un baricentro della comunità. Di taglie, di misure prese, di forme, e anche di stili non si ragiona in chiesa, in casa, alle fiere, né con l’oste né col mugnaio. Le fogge — che oggi proiettiamo nelle sfilate di moda, o in negozi sofisticati — sono un concetto forgiato sull’incudine.
Nota di precauzione, lo sono con ottima probabilità: questa è la derivazione oggi ritenuta più solida — ad esempio c’è chi l’ha voluta derivata dal latino fovea ‘fossa’, un’ipotesi che si scontra con difficoltà semantiche notevoli ma che ha profili di ragionevolezza. Ad esempio, il nome della città omonima di Foggia pare derivi effettivamente da fovea, in riferimento ai suoi antichi acquitrini.
Ad ogni modo, essendo la foggia l’aspetto esteriore di qualcosa, la sua forma, il suo stile, fa presto ad applicarsi alla figura umana e a diventare la moda, la maniera di vestire. Ad esempio parliamo di un abito di foggia orientale, parliamo della foggia rétro di un cappotto, della foggia eccentrica della mise dell’amico. Lo sfoggiare coglie questo essere imperniata su una manifestazione esterna propria della foggia e ne fa un verbo, diventando un esibire con compiacimento, mettere in mostra — qui la s- è semplicemente derivativa.
Così tolto l’apparecchio sfoggio un sorriso da copertina, il pomeriggio con gli amici sfoggio le mie abilità di giocatore di ping pong, mentre la collega sfoggia un’auto nuova. C’è compiacimento ma non il sussiego tipico dell’ostentare; ha una compostezza che lo sbandierare non conosce; e non ha nemmeno quel tratto spettacolare tipico dell’esibire. È disinvolto, lo sfoggiare, contento in modo appariscente di sé, delle proprie virtù e dei propri sfarzi. Può essere spiacevole e presuntuoso e vano, certo, ma fra tutte le parole del suo cesto si distingue per schiettezza — è anche lecito esser contenti di quel che si mostra: resta una questione di misura, che lo sfoggiare abbraccia dal modesto all’esagerato.