Sgorbio

sgòr-bio

Significato Macchia d’inchiostro fatta per trascuratezza; segno fatto male, quasi illeggibile; scritto o disegno fatto male, di infimo valore; persona brutta, sgraziata, deforme

Etimologia dal latino scorpius, dal greco skorpíos ‘scorpione’.

  • «Ma che è 'sto sgorbio?»

Spesso, quando abbiamo la vaga impressione di una parentela fra parole, si tratta di un abbaglio. A volte invece in quell’impressione sta un nocciolo di verità. Che l’intuizione fosse corretta o no, qui resta da capire che diavolo c’entri lo sgorbio con lo scorpio, lo scorpione.

Lo scorpione è un aracnide di bellezza terrificante, che non ha niente da invidiare a un samurai catafratto in un’armatura laccata. Certo, è poco rassicurante, anzi: secondo il modo che abbiamo di attribuire tratti di personalità umana al resto della popolazione non umana del pianeta, lo scorpione risulta addirittura animale traditore per eccellenza. E poi, oltre a un temperamento poco conciliante, ha delle capacità offensive notevoli: è meglio farsi pungere da praticamente qualunque altra bestia. Quindi, poiché poco in linea coi caratteri più famosi dello scorpione, l’esito dello sgorbio risulta particolarmente sorprendente.

Già perché lo sgorbio è innanzitutto il pastrocchio, la macchia d’inchiostro fatta per trascuratezza mentre si scrive. Ma va detto: il nesso con il nero scorpione è frutto di una contiguità metaforica che si sviluppa anche in altre parole, come quella fra scarabeo e scarabocchio. E anzi, a onore della metafora dello sgorbio, la silhouette dello scorpione è particolarmente complessa, e non è peregrino immaginarla come un accrocco di estroflessioni — fra chele, zampe, code, pungiglioni — come rivoli d’inchiostro che si diramano e allargano da una chiazza centrale. Così, dal pavimento lo sgorbio (più anticamente scorbio) passa al foglio in mani maldestre, e prosegue.

Lo sgorbio da chiazza si fa parola scritta male, il passo è breve: ci danno la lista della spesa e passiamo un’eternità fra corridoi e scaffali a tentare di decifrare sgorbi, senza steli di Rosetta a conforto. E ancora oltre, lo sgorbio diventa la cosa in genere fatta male, pur se con un preferenziale tratto artistico: con complimenti festevoli riceviamo da manine emozionate gli sgorbi che hanno fatto oggi a scuola (che cattivo), su ogni mobile conserviamo gli sgorbi di creta della nonna (cattivissimo), e ci sorprendiamo per il prezzo a cui è stato battuto uno sgorbio all’ultima asta.

Certo pare più serio dello scarabocchio, lo sgorbio — dopotutto, non ha quel suffisso diminutivo così simpatico. Si sente e si vede: lo scarabocchio ha un tratto estemporaneo, perfino ozioso, mentre lo sgorbio può essere sorretto da tutto lo studio e l’intenzione, con una complessità elevata.

Arriva anche all’apparenza di un profilo umano. Se dico che una persona è uno scarabocchio, la decifrazione è meno immediata, ci sono delle valutazioni volatili che possono confliggere fra vezzeggiamento e spregio; se dico che è uno sgorbio, è pianamente brutta e sgraziata, con l’irrevocabilità dell’errore nero su bianco e inemendabile.

Ad ogni modo non un risultato pessimo, viste le premesse. Dire che una persona è uno scorbio poteva magari alludere ai caratteri più radicalmente fetenti immaginabili dello scorpione — stupidamente cattiva e traditrice, ad esempio, come lo scorpione dell’antica favola, che trafigge per pura e naturale malignità la rana che lo sta gentilmente traghettando, uccidendola e morendo con lei. Lo sgorbio finisce per essere solo brutto, e lo è secondo un paradigma d’ordine classico e relativamente bonario quale quello che cerca di disciplinare l’inchiostro sulla pagina. Sgradevole, ma poteva andare peggio.

Da notare che la sgorbia, scalpello profilato da falegnameria, non c’entra niente: deriva da un antico termine latino, gulbia, di probabile ascendenza celtica.

Parola pubblicata il 01 Febbraio 2024