Svezzare

svez-zà-re (io svéz-zo)

Significato Far perdere un vezzo, un’abitudine, disabituare; in particolare, far abbandonare al bambino un’alimentazione di solo latte

Etimologia derivato di avvezzare, con sostituzione del prefisso in s- privativo, composto parasintetico del latino vitium ‘vizio, difetto’.

Per quanto l’immagine sia tenera, e tessera di un momento di dolcissima cura, è un peccato che lo svezzare sia quasi del tutto relegato nell’atto volto a far perdere al lattante il proprio nome. Infatti sappiamo tutti che svezzare un bambino (o divezzarlo) significa farlo passare da un’alimentazione esclusivamente di latte a una varia - e tutti sappiamo usarlo in questo senso.

Ma la curiosità di questa parola è che scaturisce dal vitium latino, che nella nostra lingua trova sì l’esito pulito e moderato del ‘vezzo’, ma che resta padre del ‘vizio’, del difetto - da cui il vezzo non si discosta a livello qualitativo. Ironia, non ironia, il vezzo diventa l’abitudine - specie se poco commendevole. Così capiamo che il nocciolo dello svezzare non sta nello slattare i lattanti, ma nel far perdere abitudini cattive (o giudicate tali). Compro l’amaricante per unghie per svezzarmi dal mangiarmele, il lavoro amato svezza dall’accidia, la vacanza turbinosa svezza dall’esercizio regolare. Non si deve scordare che lo svezzare il lattante è solo uno degli esiti del verbo svezzare, solo uno fra i tanti disabituare; fra l’altro, in questo caso pare che di vizioso o vezzoso, almeno secondo il metro di oggi, ci sia ben poco.

(Non scordiamo comunque che, in relazione allo svezzare il bambino, sono in voga usi figurati che prendono lo svezzamento a cifra di crescita: del diciottenne si dice che ormai è svezzato e può farsi una cultura enologica.)

Parola pubblicata il 31 Dicembre 2016