Trillo
Le parole della musica
trìl-lo
Significato Esecuzione rapida di due note contigue ribattute in successione più o meno lunga. Per estensione, suono acuto e vibrante, dall’effetto simile
Etimologia onomatopea che imita l’emissione di un suono acuto: trrrr.
Parola pubblicata il 18 Luglio 2021
Le parole della musica - con Antonella Nigro
La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale
Il trillo è un suono frizzante, tremulo, generalmente acuto, sia che si tratti del trillo dello scricciolo pascoliano, che di quello familiare del campanello domestico.
In musica è un abbellimento, probabilmente praticato sin dai tempi antichi, che potrebbe forse corrispondere alla florificatio vocis descritta nei codici medievali.
Nella prima metà del Cinquecento il compositore francese Clément Janequin sottopose le lettere trr alle note della sua celebre chanson Le chant des oiseaux, ricca di onomatopee, per rappresentare uno dei canti ornitici del bosco. Qualche decennio dopo, il termine trillo e la sua abbreviazione, t o tr, fu utilizzato per indicare tale ornamento musicale. Tra il 1593 e il 1603 Giovanni Conforti trascrisse alcuni esempi di trillo, definito da altri autori ‘tremolo’. All’epoca il trillo in musica poteva realizzarsi in diversi modi; il famoso ‘trillo cacciniano’ consisteva nel ribattere una singola nota e era caratteristico dello stile vocale italiano del Seicento.
Attraverso la musica il termine passò, quasi inalterato, in tutte le altre lingue europee e nel Settecento andò sempre più identificandosi con quello che prima era detto ‘groppo’ o, se di durata più breve, ‘mezzo groppo’. Il nuovo significato di trillo vedeva l’alternanza di due note contigue, come in quello moderno. Non ci vuole una grande esperienza vocale per capire quanto fosse difficile da realizzare con la voce umana.
Una delle prime edizioni dell’opera Caterina Cornaro di Donizetti riporta, vicino a un lungo trillo sulla nota Fa della romanza di Caterina, un ossia (un’alternativa) facilitato con la didascalia «non potendo fare il trillo». Possedere un buon trillo era fondamentale per un cantante di successo; nelle scuole di canto di Roma veniva insegnato per un’ora al giorno, tutti i giorni (Giovanni Andrea Angelini Bontempi, 1695) e doveva risultare «eguale, battuto, granito, facile, e moderatamente veloce, che sono le qualità sue più belle» (Pierfrancesco Tosi, 1723). Non stupisce perciò che una delle più celebri prime donne di tutti i tempi, Giuditta Pasta (1797-1865), malgrado il più ostinato studio non riuscisse a eseguirlo, finché a Parigi «dopo dieci anni di brillante carriera, fece udire nella cavatina del Tancredi il più magnifico trillo a gradazioni che immaginar si potesse» (Alberto Mazzucato, in Manuel García, 1841). La storia della musica trabocca di aneddoti su questo importante virtuosismo canoro, così come sono numerosi i trattati e metodi per impararne la tecnica.
Nei concerti per solista e orchestra si esegue spesso nelle cadenze, momenti d’attesa musicale prima della conclusione. Per gli strumenti, in genere la realizzazione è molto più facile, tranne che su alcune note poco praticabili. Ne sanno qualcosa i pianisti quando devono suonare una melodia con le dita deboli (anulare e mignolo) e contemporaneamente trillare con pollice e indice della stessa mano, oppure eseguire un doppio trillo nella temibile op. 111 di Ludwig van Beethoven. Sono sicura che gli appassionati ricorderanno inoltre la Scena al ruscello della Sinfonia Pastorale di Beethoven: uno splendido momento in cui il flauto imita l’usignolo trillante, l’oboe la quaglia e il clarinetto il cucù.
In occasioni conviviali e festose, come i matrimoni, nel Vicino Oriente le donne emettono sul registro sovracuto i caratteristici trilli di gioia o di incitamento. Anche le risate trillanti dei bambini che giocano in cortile hanno una valenza gioiosa, mentre i versi giovanili dell’Iràm scritti da Boito (futuro librettista di Verdi) potrebbero calzare benissimo a uno zio di nostra conoscenza: