Urna

ùr-na

Significato Antico recipiente di foggia e uso molto variabile; vaso per la conservazioni di ceneri mortuarie; cassetta dotata di apertura che contiene le schede di una votazione o i bossoli di un sorteggio

Etimologia voce dotta recuperata dal latino urna.

  • «In quest'urna la nonna conservava gelosamente il malleolo di un santo, ma non ricordo quale.»

Com’è che nella sua storia una parola approda a certi significati? Com’è che l’urna diventa il vaso per ceneri mortuarie e quello per schede elettorali? Che abbia il significato generale di ‘mesto contenitore in cui porre i residui di ogni speranza’? Non siamo cinici. Questo esito, che affratella le cassette col sottile foro in alto in cui inserire le schede di voto e i bossoli in cui raggranellare la gente defunta, ha piuttosto a che fare col nostro rapporto con il latino.

Il latino urna ha un significato vasto. Comprende tutto lo spettro di recipienti che va dalla brocca al vaso all’orcio — era una parola dal respiro piuttosto generale, e funzionava anche per contenitori normali, quotidiani. Certo però, e in maniera evidente, si adattava con naturalezza anche a quelli che servivano per le elezioni, o per le estrazioni a sorte, così come a quelli dove inserire i resti bruciati di spoglie mortali (l’etimo di urna è incertissimo ma c’è chi lo collega a urere, ‘bruciare’). Sono tipi di vasi che si fanno notare in virtù di funzioni elevate, che hanno una certa sacralità inviolabile — solo l’inganno e il sacrilegio possono profanarle.

Non è una parola sopravvissuta, urna. Nell’alto medioevo cade in disuso, e non passa nel lessico delle lingue che stanno nascendo dalle ceneri del latino. Vuoi perché col prendere piede del cristianesimo la cremazione recede, vuoi perché cadono in desuetudine gli usi giuridici e amministrativi dell’Impero, e scorrono tempi in cui i processi decisionali comuni difficilmente prendono la forma di sorteggi o momenti elettivi rituali e raffinati, la grandezza dell’urna non riesce a passare là dove i modesti vasi, gli orci (peraltro urceus è della stessa famiglia di urna) e le brocche invece riescono.

Ma il latino sopravvive nelle rocche del sapere. Ed è nel Trecento che da questo latino superstite viene portata in vita, come prestito, l’urna italiana — a questo punto, libera da ogni pastoia di bassa quotidianità. Nei secoli a venire si mostrerà pronta a descrivere recipienti antichi, reliquiari, vasi funerari (e quindi tombe e sepolcri in genere), cassette dotate di apertura per inserire, o trarre, schede o palline per elezioni, sorteggi e lotterie.
È appena il caso di notare che in questo ultimo senso l’urna non è meno che cinquecentesca — mentre di urne elettorali si parlerà addirittura nell’Ottocento. I processi democratici che rifiorirono in Italia ai tempi dei Comuni non ebbero tanto un respiro greco-romano, quanto germanico — anche nella lingua. E nel pragmatismo del tempo, per fare un sorteggio ci si accontentava di mettere nomi, castagne o sassi in un sacco.

Le parole basse le abbiamo sempre avute; al latino abbiamo chiesto e chiediamo parole alte. Così l’urna è stata schiumata di tutta la sua normalità, e ci arriva come figura di vaso di grande levatura che contiene nientemeno che il sacro.

Parola pubblicata il 25 Settembre 2022