Vespasiano

ve-spa-sià-no

Significato Orinatoio pubblico in forma di edicola

Etimologia calco del francese vespasienne, dal nome dell’imperatore romano Vespasiano.

Siamo davanti a un termine favoloso, dall’origine arcinota, ma si deve stare all’erta: sulla sua storia incombono bufale da sfatare e risvolti inattesi. Sarà un bel viaggio.

Non servono ingegni alati per immaginare che il nome ‘vespasiano’ per indicare un orinatoio pubblico non può essere un uso latino coevo all’imperatore Tito Flavio Vespasiano — sarebbe stato irriverente. Eppure tutto inizia da un curioso, stretto rapporto fra questo imperatore e l’urina.

Nel 69 d.C. la situazione politica a Roma era tutt’altro che stabile. Nerone l’anno prima era stato deposto e si era ucciso, ed era scoppiata una breve guerra civile che aveva visto succedersi quattro imperatori in tredici mesi — Galba, Otone e Vitellio, minuscoli nomi sui manuali delle superiori, e quindi Vespasiano. Egli non solo fu un generale capace, stimato e apprezzato, ma fu il primo imperatore propriamente detto, consapevole del proprio nuovo ruolo (fino ad allora informale), e mise nero su bianco i propri poteri. Soprattutto, però, si rivelò eccezionalmente abile nel risanare i conti pubblici — qualità più unica che rara, nella storia imperiale.

L’urina a Roma era una grande risorsa. Vi erano ricche produzioni tessili che ne impiegavano l’ammoniaca in lavaggi e tinture, ed era un vero peccato lasciare gratis agli imprenditori quella che riuscivano a raccogliere. Infatti quello che fece Vespasiano non fu, come si sente talvolta dire, creare orinatoi pubblici per rendere decorosa la città, ma porre una tassa sulla raccolta imprenditoriale dell’urina. In un famoso aneddoto si racconta che il figlio di Vespasiano, il futuro imperatore Tito, abbia trovato indecoroso questo lucro — al che il padre gli fece annusare i denari guadagnati. Pecunia non olet, il denaro non puzza. Ma allora come si passa agli orinatoi? Lasciamo stare l’imperatore Vespasiano e saltiamo alla fine dell’Ottocento.

Stavolta sì, come luoghi necessari al decoro urbano, si inizia a leggere di ‘monumenti vespasiani’, o solo di ‘vespasiani’ come di orinatoi pubblici piazzati strategicamente nel tentativo di disciplinare la minzione per strada. Da allora questo nome giunge fino a noi, anche se al giorno d’oggi è sempre meno comune, perché i vespasiani sono spariti insieme alle cabine telefoniche — la patata bollente della minzione fuori casa è stata passata agli esercizi pubblici, senza bisogno di edicole ad hoc. Ma come diavolo è risaltato fuori Vespasiano, dopo diciotto secoli? Qui sta la parte più bella e meno conosciuta della storia, che ci porta a Parigi.

Nella prima metà dell’Ottocento Parigi era già una delle grandi capitali del mondo, e però aveva ancora un impianto urbanistico medievale che dal punto di vista dell’igiene (una premura rampante) lasciava molto a desiderare: le epidemie non erano infrequenti. Nel 1834 fu nominato prefetto della Senna Claude-Philibert Barthelot, conte di Rambuteau, con idee chiarissime per la trasformazione della città: acqua, aria, ombra. Vie più larghe, alberate, con illuminazione artificiale, nuove fontane, nuove fogne. Fra le innovazioni che introduce per le vie della città ci sono quasi cinquecento edicole dotate di orinatoi. Magnifico, ma però… Subito la popolazione inizia a chiamarle colonne Rambuteau. Il nostro conte inorridisce: il suo nome legato per sempre ai pisciatoi?! Ma siccome è persona intendente, ne spinge un nuovo battesimo, altisonante e accattivante come solo le eco classiche sanno essere: colonne vespasiane (colonne vespasienne). Il riferimento all’urina è dotto e gagliardo e fa un bel contrasto, la nuova proposta attecchisce splendidamente, tanto da far scuola anche da noi.

Così un prefetto francese salvò il suo nome offrendo in sacrificio quello di un imperatore romano.

Parola pubblicata il 13 Marzo 2021