Gru

grù

Significato Nome comune degli uccelli appartenenti alla famiglia dei Gruidi; macchina per il sollevamento e lo spostamento di carichi

Etimologia dal latino gruem, onomatopeico, di origine indoeuropea.

Alcuni animali mettono becco dappertutto. Per esempio, nulla sembrerebbe più lontano dalla gru del geranio, eppure il nome di questa piantina significa “becco di gru”, per via della forma allungata dei suoi frutti. Inoltre “pedigree” viene dal francese pied de grue, perché quando si traccia una genealogia è facile che si crei uno schema a “piede di gru”, in cui tre linee si diramano da un solo punto.

Persino nel groviera sembra esserci lo zampino della gru, giacché trae il suo nome dal distretto della Gruyère, in Svizzera, il cui stemma è appunto una gru. Si narra infatti che quando un guerriero vandalo, Gruérios, arrivò in quella regione, una gru bianca si levò in volo davanti a lui. Egli, interpretandolo come un buon presagio, costruì lì il suo castello, dando origine alla dinastia dei conti di Gruyère.

Non tutto ciò che luccica, però, sa di groviera. Al contrario, questo infido formaggio si ammanta di molti falsi miti. Anzitutto – incredibile a dirsi – il groviera non ha buchi. In realtà non è neppure un formaggio, ma una famiglia di formaggi, che nacque in Svizzera ma divenne celebre grazie ai francesi. Il che ha generato un po’ di confusione con il formaggio francese Emmenthal (quello sì bucherellato).

Secondo: il groviera non piace granché ai topi. Questa è un’invenzione dei cartoni animati, data dal fatto che il groviera/Emmenthal è facile da disegnare e ben riconoscibile. Tuttavia, se un topino dovesse scegliere tra formaggio e cioccolato, sceglierebbe senza esitazione il secondo.

Terzo: il groviera non c’entra niente con le gru. I conti di Gruyère devono il loro nome al fatto che, tra i loro doveri, c’era anche la cura delle acque e delle foreste, detta gruerie; in pratica erano dei “conti forestali”. La gru comparve solo a posteriori, per una paraetimologia abilmente romanzata.

La leggenda, comunque, testimonia una generale stima nei confronti delle gru, che si estende non solo alla nostra tradizione ma anche a quelle asiatiche, in particolare a quella giapponese. L’orizuru, ossia l’origami a forma di gru, è la forma più celebre di quest’arte e si lega a una leggenda: poiché si diceva che le gru potessero vivere fino a 1000 anni, colui che riesce a creare 1000 orizuru potrà ottenere salute e prosperità.

Tale tradizione ha assunto un risvolto straziante a metà del Novecento. Una bambina giapponese, Sadako, si ammalò di una leucemia inguaribile, come molti bambini esposti alle radiazioni delle bombe atomiche. Decisa a guarire, la bimba si dedicò con grande diligenza a creare origami nel suo lettino d’ospedale, arrivando secondo alcune fonti a 1500. Purtroppo il suo desiderio non fu esaudito, ma da allora gli orizuru divennero un simbolo internazionale di pace.

Perfino l’uso più prosaico che si possa fare della parola “gru” porta in sé l’idea di qualcosa che solleva e costruisce. In effetti oggi capita più spesso di vedere delle gru nel senso meccanico del termine che non in quello ornitologico; ma c’è qualcosa di commovente nel pensiero che i primi a forgiare questi enormi macchinari li chiamarono con i nomi di ciò che gli era più famigliare, gli animali della campagna. Lo stesso peraltro si può dire del muletto, del cavalletto, della capriata, del martinetto (da Martino, che in diversi dialetti è un soprannome dell’asino). Anche in piena città si può trovare una fattoria intera… a saperla vedere.

Parola pubblicata il 04 Dicembre 2023

Parole bestiali - con Lucia e Andrea Masetti

Un lunedì su due, un viaggio nell'arcipelago dei nomi degli animali, in quello che significano per noi, nel modo in cui abitano la nostra vita e la nostra immaginazione.