Motto
mòt-to
Significato Frase breve e incisiva che esprime un principio guida, una regola di vita o la missione solenne di un’entità (nazione, istituzione, famiglia), detto arguto o sentenzioso; parola
Etimologia dal latino tardo muttum ‘parola’, ma con un senso più specifico ‘borbottamento, emissione vocale minima’, derivato da muttire, ‘mormorare’.
Parola pubblicata il 10 Novembre 2025
Italianismi - con Giada Aramu
Molte parole italiane sono state adottate in lingue straniere. Sono gli italianismi, che ci raccontano la peculiare forma del prestigio della lingua italiana (parla un sacco di cucina, ma non solo). Con Giada Aramu, docente di italiano come lingua seconda, un lunedì su due esploreremo questo arcipelago di parole che non sono più soltanto nostre.

Se l'italianismo è una parola che l'italiano manda in missione nel mondo, il termine motto è il diplomatico che non alza mai la voce perché sa che non ce n'è bisogno: tutti lo ascoltano per la sua autorevolezza e, in alcuni casi, saggezza. Il motto ha un’intrinseca ironia, che risiede nelle tappe del suo percorso di significato: nel latino tardo muttum, a partire dal significato di ‘parola’, prende il senso di suono indistinto e timido, mentre oggi è un termine che il mondo usa (dalla politica fino ai manuali di management e marketing) per definire una concezione, un sunto conciso di identità dal profilo araldico. (Specie anticamente ‘motto’ poteva anche valere ‘parola’, come nell’espressione ‘non far motto’, ma è un uso desueto.)
Il motto è la vittoria del minimalismo sulla prolissità: di fatto, mentre il resto della lingua si affatica in discorsi, tiritere e sproloqui, il motto si limita ad affermare tre parole e tutti chinano la testa, urlano a gran voce, intonano cori o agitano bandiere e manifesti.
A livello internazionale, anche col prestigio che proprio l’uso araldico gli dava, la parola ‘motto’ è stata adottata tale e quale (motto ad esempio ricorre anche in inglese e tedesco), assumendo il ruolo di slogan distintivo. Ma proprio a differenza di uno slogan, che ha spesso connotazioni pubblicitarie e contingenti, addirittura usa e getta, il motto si lega a un’identità, anche occupando pagine sui libri di storia (uno fra tutti, il garibaldino «O Roma o morte!», detto politico fondamentale per l’identità nazionale).
Come la storia ci insegna, un motto è la scelta definitiva di coerenza. Il motto è una sorta di bussola, o di scudo verbale che taglia corto su ogni discussione guadagnando o perdendo consensi. Ad esempio, se un'istituzione deve giustificare una decisione rigida, cita il suo motto; se un'organizzazione deve dimostrare di avere una visione, la condensa in un motto; quando un personaggio politico vuole chiudere un discorso con enfasi, pianta un motto. E la gente annuisce, perché il motto è per definizione sentenza.
Il vero capolavoro di questo italianismo è la sua capacità di incarnare l'autorità in due contesti diametralmente opposti: l'autorevolezza solenne (per intenderci, la frase incisa in latino o greco su un simbolo storico) o l'autorevolezza spiritosa (il motto di spirito, la battuta che demolisce un interlocutore o illumina una verità nascosta, fino a quel momento, ai più).
In entrambi i casi, il motto domina. Sotto il peso della sua incisività, non puoi ribattere. Di fronte al motto solenne, si tace per rispetto; di fronte al motto di spirito, si tace perché sbattuti sul campo dell'arguzia.
L'italianismo motto è una lezione di retorica e di marketing linguistico. Ha preso la parola più piccola e insignificante del lessico e l'ha trasformata nel veicolo di concetti più grandi e imponenti, dimostrando che per essere influenti a livello globale non serve urlare, basta essere brevi, concisi e inappellabili. Una vera e propria tirannia della sintesi.