Strano
strà-no
Significato Diverso dal solito, dal normale
Etimologia dal latino extraneus ‘di fuori, straniero’, da extra- ‘fuori’.
Parola pubblicata il 29 Gennaio 2022
Dino Buzzati, le parole e i disegni - con Lucia Masetti
Celebriamo il cinquantesimo anniversario della morte di Dino Buzzati, scrittore, pittore, giornalista — uno degli autori che amiamo di più — con una settimana di pubblicazioni a tema, col patrocinio dell’Associazione Internazionale Dino Buzzati.
Avvicinarsi allo strano significa avvicinarsi a una categoria molto intima del proprio pensiero, e vedere una parte dimessa ma importante della storia della gente del primo medioevo.
L’origine di ‘strano’ è nel latino extraneus, che in italiano vive anche come recupero dotto nel nostro ‘estraneo’. ‘Estraneo’ è più vicino a extraneus anche come significati: è l’esterno, lo straniero. Invece lo strano se ne scosta in maniera significativa, prendendo un respiro enorme.
Il primo medioevo è un tempo d’interruzione delle comunicazioni. Il grande corpo organico dell’Impero, col suo sistema circolatorio, decade, e ci si trova soli e provinciali — senza né la grande lingua che unifica il mondo né la babele di lingue che si incontrano nei crogioli delle metropoli. Si resta a parlare la lingua delle porte accanto, a maturare usi stretti, costumi famigliari.
Sconcertare le persone (chissà come erano i loro volti, nonni e nonne) che hanno vissuto quei tempi non doveva essere difficile, dato il loro orizzonte paesano; era senz’altro più difficile sorprendere con qualche stranezza la gente dell’antica Roma al suo culmine, avvezza a vedere mirabilia di ogni sorta, come è tipico di chi ha il mondo intero come casa.
L’apparizione di forestieri, di estranei era praticamente l’unico elemento di contatto col diverso che questi parenti del medioevo avevano. L’estraneo non era mai stato l’insolito: lo diventa qui. Lo straniero si fa stravagante, perché porta usi diversi che certo paiono strani. Tanto a lungo e a fuoco lento cuoce quest’impressione, che l’estraneità dello strano si fa categoria fondamentale: il diverso dal consueto.
Ma mentre l’insolito o l’inconsueto non riescono a togliersi di dosso un’affettazione elegantina, mentre il singolare e il curioso avanzano una considerazione intellettuale, mentre il grottesco il bizzarro l’eccentrico si affrettano a spiegarci un taglio di realtà, e mentre decine di altri sinonimi si affaticano a prendere e illuminare questo tratto in altrettanti modi, lo strano ha un’essenzialità nucleare, un’immediatezza, una versatilità e un’eloquenza che solo le grandi parole di popolo sanno avere. Sosta nell’incertezza. Dopotutto, è una parola che si può pronunciare — rivolta a qualcuno o a noi — aprendo appena una fessura di bocca senza farsi vedere.
Tutti abbiamo almeno una parola prediletta che, spesso senza accorgercene, ficchiamo dappertutto. Quella di Buzzati è in pratica un compendio della sua poetica: “strano”. Per lui tutto il mondo è strano, inclusi i mobili della camera da letto. Strano, anzitutto, perché straniero: la porzione di realtà che ciascuno di noi conosce potrebbe stare in una capocchia di spillo, tutto il resto è terra incognita. E non c’è ombra più fitta di quella che avvolge le cose che crediamo di conoscere.
Possiamo passare per anni accanto alle stesse case, frequentare le stesse persone, ma di ciò che si nasconde nelle loro stanze più interne nulla mai sapremo. La nostra stessa casa non ci è del tutto nota, come ben sanno i bambini che intravvedono mostri sotto al letto. Eppure “la verità si trova soltanto nelle case e non fuori” (da In quel preciso momento). Da questo punto di vista lo “strano” di Buzzati è tutt’uno col “perturbante” di Freud: quella sensazione di disagio che ti prende quando scopri l’ignoto nel famigliare.
Ma non è solo questo. Di solito noi viviamo nella sfera del “come”: le cose ci interessano perché funzionano in un certo modo, servendo a certi scopi. Buzzati invece non le vede mai fuori dal grande mistero del loro “perché”. Perciò nella sua ottica un comodino è altrettanto enigmatico d’un losco figuro arrivato nottetempo in una stazione di provincia. Da dove è venuto? Cosa ci fa qui? E, soprattutto, dove sta andando? Il mondo, insomma, è strano perché è inspiegabile: potrebbe non esserci e invece c’è. E forse quel comodino sornione conosce il motivo, ma non ce lo dice.
In ultimo il mondo è strano perché è straordinario. Soprattutto quando è ordinario. E l’arte ha proprio lo scopo di ricordarcelo, di farci vedere le cose con la stessa acutezza del bambino che dal passeggino strilla “un bau bau!” come se avesse appena avvistato la balena bianca. Duchamp prende un orinatoio e ci chiede: ma l’avete osservato bene? Avete visto quanto è bizzarro questo aggeggio, eppure sorprendentemente elegante e arcano nelle sue forme? Buzzati fa lo stesso con un letto, un armadio, una porta. E ci dimostra che un banale risveglio notturno può trasformarsi in un’avventura romanzesca: tutto sta nel modo in cui lo raccontiamo, all’interno della grande storia che giorno per giorno andiamo intessendo.