Untore
un-tó-re
Significato Chi unge; specie dalla peste di Milano del 1630, chi si credeva diffondesse intenzionalmente il morbo; responsabile della diffusione di un fenomeno nefando
Etimologia voce dotta recuperata dal latino unctor, dal participio passato unctus del verbo ungere.
Parola pubblicata il 24 Maggio 2023
Alessandro Manzoni, le parole - con Lucia Masetti
Il 22 maggio 2023 ricorrono i 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni, celeberrimo, odiosamato gigante della nostra letteratura. L’impatto della sua opera sulla lingua italiana ha un rilievo con pochi paragoni: lo raccontiamo in sette parole — un dizionario minimo manzoniano, un piccolo safari nei 'Promessi sposi'.
L’untore non sono io quando ci dò col burro sulla teglia o di olio sui crostini, né quando impartisco l’olio di argan per un massaggio; o meglio, non tanto. Per quanto il profilo di questo agente possa essere vago in teoria, e raccontare il ruolo generico di chi applica olii e grassi da qualche parte per gli scopi più vari (come la vecchia figura professionale dell’untore di lana tosata), in pratica vive in un riferimento specifico, storico e letterario.
Il Seicento fu un secolo di pestilenze in tutta Europa e non solo. In Italia sono rimaste famose le ondate fra fine anni ‘20 e inizio anni ‘30, che flagellarono il Settentrione, in particolare Milano. ‘In particolare’ perché la peste di Milano non solo trovò un’espressione specialmente cruda, anche per diverse contingenze economiche, politiche e sociali, ma perché può contare su alcuni racconti che sono pietre miliari della nostra letteratura, fra cui, famosamente, I promessi sposi. Sono vicenda strazianti che possono essere indagate con grande profondità psicologica, in cui possiamo riflettere diverse nostre esperienze recenti; fra l’altro, ci consegna alcune figure, alcuni ruoli, concepiti nelle pestilenze del Cinque-Seicento e che sono rimasti nel vocabolario a prescindere dal singolo episodio storico.
Fra questi campeggia proprio l’untore, ruolo fantasmatico di chi sparge il morbo — in particolare, si credeva, ungendo con poltiglie infette persone, porte, chiese e in genere luoghi di ritrovo. Non che fosse una figura nuova: l’idea che la peste fosse causata da qualcuno risale almeno alla peste nera del Trecento — e anzi spesso era un ruolo adattissimo da calzare sugli ebrei, capri espiatori ideali. Però ecco, è qui che diventa proverbiale, come responsabile della diffusione di un fenomeno nefando.
Fuor di peste possiamo parlare di come l’untore fosse l’amico, che è venuto a cena e ha fatto prendere a tutta la mensa una bella influenza; si rincorre l’untore innominato che sta dietro a certe idee disfattiste che serpeggiano nel gruppo; e con una citazione manzoniana che è diventata proprio proverbio, quando le ragioni della difficoltà si complicano, per mascherarle torna sempre buono un “dagli all’untore!”.
Il profilo storico di un fantasma letterario sempre vivo nella nostra immaginazione.
La peste manzoniana è stata citata innumerevoli volte durante la pandemia e in effetti le analogie sono notevoli, soprattutto sul piano psicologico. A farla da padroni sono, in particolare, i meccanismi di difesa, ossia i trucchi dell’Io per allontanare l’angoscia.
Dapprima il diniego: la peste non esiste, e chi osa affermare il contrario è accolto con scherno e persino odio. Da qui il ritardo nell’applicare provvedimenti di “distanziamento sociale”, malvisti sia dai governanti sia dai cittadini, come don Rodrigo che incautamente persiste negli happy hour fino all’ultimo.
Interviene poi la razionalizzazione; “trufferia di parole”, la chiama Manzoni. Qualcosa c’è, ma non è peste: sarà malaria, o al massimo una “febbre pestilenziale” (“poco più di un’influenza”, dicevamo noi). Campione di quest’atteggiamento è Don Ferrante, che addebita il tutto alle influenze astrali.
Infine si arriva alla ricerca del capro espiatorio (in termini psicologici un mix di spostamento e proiezione): gli untori. Anche Renzo viene preso per uno di loro e si salva a malapena dal linciaggio, saltando sul carro dei monatti. Nel nostro caso untori sono stati dapprima i cinesi, poi i runner, poi governi e case farmaceutiche, accusati di aver creato il virus in laboratorio e di voler sottomettere i cittadini a una dittatura sanitaria.
Certo non siamo arrivati a giustiziare i presunti colpevoli, come fecero i magistrati descritti da Manzoni nella Storia della colonna infame, pubblicata in appendice ai Promessi sposi. Tuttavia è inquietante vedere come le dinamiche di fondo siano tutt’oggi vitali.
Qui poi la psicologia dei meccanismi di difesa si incontra con quella delle folle, anch’essa radiografata da Manzoni già nell’episodio dell’assalto ai forni: sotto la spinta dei bisogni elementari e della pressione di gruppo le persone tendono a trasformarsi in un unico “corpaccio” privo di testa, pronto a seguire qualunque idea purché estrema (cap. XIII).
Ne può nascere una paranoia collettiva, nutrita da informazioni distorte che si amplificano di bocca in bocca. Si tratta di concetti appetibili perché molto semplici (“un piccol numero di vocaboli era il materiale di tanti discorsi”, cap. XII) e, soprattutto, invulnerabili a qualsiasi argomento contrario.
I monatti, per esempio, vedono che Renzo è un bravo giovane, eppure continuano a considerarlo un untore, sebbene un po’ scarso. Del resto ciò accade usualmente coi pregiudizi: quando la realtà minaccia di smentirli viene prontamente riplasmata. Così la vicenda di Renzo, lungi dallo scuotere la credenza negli untori, la rafforza. Come dirà anni più tardi uno dei cittadini coinvolti: “Quelli che sostengono ancora che non era vero, non lo vengano a dire a me; perché le cose bisogna averle viste” (cap. XXXIV).