Innominato

Alessandro Manzoni, le parole

in-no-mi-nà-to

Significato Di cui si ignora o non si vuol dire il nome, o che non ce l’ha ancora; persona di cui non si sa o dice il nome

Etimologia voce dotta recuperata dal latino tardo innominatus, derivato di nominatus ‘nominato’ con prefisso in- negativo.

  • «L'autore del bel gesto è rimasto innominato.»

Ammucchiate tutte insieme alla rinfusa alfabetica, o anche in classi di sinonimi, spesso le parole faticano a mostrarci la loro specifica intelligenza. Anzi, ci sono quelle sedule e zelanti che rispondono sempre per prima e sgomitano per entrare nelle nostre frasi che finiscono per eclissare tutte le altre. L’innominato è una di quelle che resta in disparte, ma è il caso di sentire che cosa ha da dire.

L’innominato si sovrappone solo per parte piccola, e fuori fuoco, con l’ignoto. L’ignoto ha una dimensione totale, esclude la conoscenza di qualcosa o qualcuno in maniera radicale, invece l’innominato coglie ed esprime l’assenza di un aspetto specifico del conoscere: il nominare.

‘Dare un nome’ non è una mera questione onomastica: significa collocare esplicitamente all’interno di un’organizzazione di conoscenza. L’autore innominato del delitto può avere un profilo estremamente preciso — in effetti lo identifichiamo, ma non lo individuiamo. Anche perché magari non è che il suo nome non si sappia: forse non si vuole dire. Un fenomeno innominato è osservabile, perfino misurabile, ma non sai che è; una grandezza innominata è taciuta per convenienza, o magari per l’impossibilità (contingente o no) di commisurarla, senza che per questo sia da porre nel pozzo impenetrabile dell’ignoto.

È una parola elevata che indica una situazione di sfumatura, intermedia: la conoscenza non è un interruttore, e il nominare ne è solo un tassello — per quanto ultimo e fondamentale. È una parola che ci permette di discernere, di separare, di circoscrivere una qualità negativa, e ce lo fa fare con una precisione squisita ed eloquente.

Peraltro, l’innominato diventa anche, come sostantivo, la persona di cui non si sa o non si dice il nome — un uso che poggia molto su un’altra trovata manzoniana, quella dell’Innominato con la I maiuscola.


L’incertezza stessa rendeva più vasta l’opinione, e più cupo il terrore della cosa. E ogni volta che in qualche parte si vedessero comparire figure di bravi sconosciute e più brutte dell’ordinario, a ogni fatto enorme di cui non si sapesse alla prima indicare o indovinar l’autore, si proferiva, si mormorava il nome di colui che noi, grazie a quella benedetta, per non dir altro, circospezione de’ nostri autori, saremo costretti a chiamare l’innominato.

Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Capitolo XIX

È una delle stranezze più note dei Promessi sposi: uno dei suoi protagonisti è senza nome. Solo per noi, però, giacché gli altri personaggi lo nominano abbondantemente; ed è in questo bizzarro contrasto che Manzoni illumina la tendenza dei nomi a staccarsi dalle persone che li portano.

L’Innominato, per la gente, è come l’“orco” delle fiabe (cap. XXIV). Il suo nome è gonfio delle aspettative altrui e insieme è piatto: taglia fuori tutto un mondo interiore cui lui stesso – prigioniero della sua nomea – non sa e non può dare ascolto. In un certo senso, quindi, egli è davvero innominato, perché il suo nome è diventato un falso.

Poi arriva Lucia. L’unica nel raggio di chilometri che non sappia il suo nome, e che perciò lo vede per quello che è. Primo: un uomo fragile al pari degli altri, che alla fine dovrà morire e pagare per i suoi torti; un concetto che l’Innominato non è certo abituato a sentirsi dire in faccia. Secondo: un uomo di “buon cuore”, attributo che probabilmente non ha mai ricevuto in vita sua.

E, tuttavia, entrambe le cose sono vere. L’Innominato sa che la morte si avvicina e ne ha una paura folle, al punto che la parola “paura” non riesce neppure a pronunciarla. «Cosa pretendete con codesta vostra parola?» chiede infatti a Lucia «Di farmi...?» e lascia la frase a mezzo (cap. XXI). Nel suo profondo poi c’è anche un desiderio di bene, di perdono, di affetto, per quanto represso da sempre.

Dunque, sotto lo sguardo di Lucia, l’Innominato si scopre diverso: “Non son più uomo” si ripete nella notte, che è come dire: “Non sono più io” (“Io è un altro”, avrebbe detto Rimbaud). È anche vero, però, che finché qualcosa non ha nome è quasi come se non esistesse. Perciò, perché la trasformazione sia completa, serve qualcuno che conosca il nome dell’Innominato, ma sappia ricomprendere in esso tutta la misteriosa estensione della sua anima.

Qualcuno come il cardinal Federigo, il quale accoglie con tale felicità questo criminale incallito da farlo trasecolare: “Sapete chi sono? V’hanno detto bene il mio nome?” (cap. XXIII). È attraverso gli occhi di Federigo, la prima persona che in tanti anni gli voglia bene, che l’Innominato può veramente ritrovarsi: “Io mi conosco ora, comprendo chi sono”.

Egli compie così un percorso di liberazione e riconquista del proprio nome, adombrando inoltre la condizione dell’Innominato per eccellenza: Dio, che sfugge da ogni nome in cui si cerca di circoscriverlo, eppure, se chiamato con sincerità, risponde a tutti i nomi.

Parola pubblicata il 23 Maggio 2023

Alessandro Manzoni, le parole - con Lucia Masetti

Il 22 maggio 2023 ricorrono i 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni, celeberrimo, odiosamato gigante della nostra letteratura. L’impatto della sua opera sulla lingua italiana ha un rilievo con pochi paragoni: lo raccontiamo in sette parole — un dizionario minimo manzoniano, un piccolo safari nei 'Promessi sposi'.