Vago

Leopardi spiega parole

và-go

Significato Che non è certo, chiaro, che non dà informazioni esatte e determinate; chi si esprime in modo impreciso, sfuggente

Etimologia voce dotta recuperata dal latino vagus ‘vagante, errante’, in senso figurato ‘instabile, indefinito, indeterminato’.

Si tratta di una parola bella già solo a pronunciarne il suono, così aereo, leggero. Ancor più bella se si entra a scandagliare la varietà di significati che queste quattro lettere portano con sé.

In Leopardi il vago è un concetto così cardinale da farsi sostantivo. Per lui racchiude uno dei segreti che rendono la poesia quello che deve essere: il luogo del bello e della piacevolezza.
Come? Perché l’incontro della mente con ciò che è indeterminato la porta a errare nell’immaginazione, a vagare in quell’infinito che è proprio forse solo del pensiero.

Questa capacità di far viaggiare la mente senza limiti sembra profondamente connessa al suo significato etimologico: in latino ciò che è vagus è qualcosa di fisicamente instabile, in perpetuo moto, errabondo.
Diventa allora affascinante osservare lo slittamento semantico che, agli albori della storia poetica italiana, subisce questo termine.

Per i poeti duecenteschi che stavano creando le basi lessicali di tutta la futura lirica amorosa, vago diventa sinonimo di desideroso: quale condizione di maggiore erranza e perdita dei confini di sé stessi di quella dell’innamorato?
Come la Sposa del Cantico dei Cantici che vaga per la città in cerca dell’amato senza mai riuscire a raggiungerlo, è nell’assenza, nel desiderio che fa errare che si compendia la condizione dell’amante. È un tratto che troviamo anche nel vagheggiare.

Ma a essere errante non è solamente l’innamorato, lo è anche l’oggetto del desiderio, che quanto più è inafferrabile tanto più si desidera. È così che vago, oltre a desideroso, diventa anche sinonimo di desiderabile e, di conseguenza, di bello, ameno, leggiadro.

Se però ai giorni nostri qualcuno mi dicesse “oggi sei proprio vaga” di certo non arrossirei per il complimento ma mi chiederei se sono stata sfuggente o se sia sembrato che volessi nascondere qualcosa.
Se poi me lo si dicesse a Roma - più esattamente “oggi stai proprio a fa’ la vaga” - saprei che probabilmente dovrò affrontare quel determinato argomento che ho cercato in tutti i modi di evitare. In romanesco fare il vago (più intenzionale e “furbesco” di essere vago) vuol dire infatti “far finta di niente”: per comoda sintesi è nato il verbo svagheggiare che riassume l’intero concetto con quella pregnanza tipica delle neoformazioni.

Uno studente romano di medicina potrebbe però incappare nel termine ‘vago’ anche durante una lezione di anatomia e non perché riferito a qualche matricola distratta: esso viene infatti utilizzato come forma abbreviata di nervo vago, cioè il decimo dei nervi cranici, forse proprio in riferimento al lungo e quasi erratico percorso che compie questo nervo nel nostro corpo.

Una parola che parla di erranza e che ci ha fatto errare nel dedalo dei suoi vari significati.
Calvino, nella sua lezione americana sull’Esattezza, notava come questo vago, così indissolubilmente legato all’idea di movimento e di mutevolezza, solamente nella lingua italiana possa associarsi tanto all’incerto e all’indefinito quanto alla grazia e alla piacevolezza.

Un’immagine suggestiva, che può accompagnarci nella lettura dei versi con cui si aprono Le Ricordanze leopardiane, poesia nella quale il tema del ricordo è protagonista: ricordo che, per il poeta, quanto più è lontano e vago, tanto più suscita in noi un profondo sentimento poetico. Così, all’insegna della vaghezza, apre il componimento

Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea
tornare ancor per uso a contemplarvi

E proprio come notava Calvino, col semplice uso di questa voce riesce ad evocare al contempo la bellezza degli astri e il loro eterno e misterioso moto celeste.

Parola pubblicata il 07 Marzo 2022

Leopardi spiega parole - con Andrea Maltoni

Giacomo Leopardi, oltre ad essere un grande poeta, ha osservato e commentato esplicitamente molte parole della nostra lingua. Andrea Maltoni, dottoressa in filologia, in questo ciclo ci racconterà parole facendolo intervenire.