Anagogico
a-na-gò-gi-co
Significato Basato su un’interpretazione in senso mistico e spirituale di un’opera; mistico
Etimologia da anagogìa, voce dotta recuperata dal latino tardo anagògen, prestito dal greco anagogé composto di aná ‘su’ e ágo ‘io conduco’.
Parola pubblicata il 29 Marzo 2022
Parola molto difficile, a vederla, e in effetti emerge in un contesto dei più impervi in assoluto — quello dell’esegesi biblica. Però ci offre un concetto così ghiotto e suggestivo che, pur conservando un’altezza distintiva, ha trovato spazio anche in ambiti più accessibili.
L’anagogia è un procedimento interpretativo di un testo, che classicamente si pone come l’interpretazione concettualmente più elevata.
Sappiamo che ogni narrazione può essere intesa alla lettera, limitatamente ai fatti che descrive; ma ci può essere di più. Ad esempio può sottendere un insegnamento morale: pensiamo alle favole di Esopo, o di Fedro. La storia del lupo e l’agnello vuole ammonire che chi ha certe mire troverà ogni pretesto per giustificarne il conseguimento a scapito altrui. Senza leggere questa intenzione morale sarebbe davvero bizzarra.
E non solo: una narrazione può anche costituire un’allegoria — cioè può essere una narrazione metaforica, che rappresenta qualcosa intendendone un’altra. Se prendiamo l’apologo di Agrippa Menenio Lanato, esso alla lettera narra di come il corpo umano possa prosperare solo con la collaborazione di tutte le sue parti, ma è allegoria dell’unità sociale a cui Agrippa vuole ricondurre la plebe in rivolta. Bene, bellissimo — ma ancora non è tutto.
La tradizione medievale, che ragionava secondo queste categorie, ci presenta un altro piano, per cui la narrazione non adombra solo un significato ulteriore, ma addirittura superiore, di altamente spirituale. Facendoci aiutare nella ricapitolazione da Torquato Tasso, che sintetizza così la quadripartizione interpretativa delineata da Dante nel suo Convivio, secondo questo sistema radicato nella filosofia e nella teologia:
Quindi, in maniera analoga e divergente rispetto al letterale, al morale e all’allegorico, si dice anagogico proprio ciò che viene condotto e còlto secondo un senso mistico — in effetti, finisce per essere direttamente un sinonimo di ‘mistico’. Così classicamente si può parlare della lettura anagogica della resurrezione di Cristo come promessa della resurrezione alla fine dei tempi.
Ma non si tratta di una nozione troppo precisa, in realtà, e nei secoli è stata impiegata in maniera variabile: ci resta sul tavolo l’idea di un’interpretazione volta all’alto, che letteralmente ‘conduce in alto’.
Ciò che una tensione anagogica vuole afferrare è sfuggente, non è dimostrabile pianamente proprio in virtù del suo essere mistica, del suo abbracciare un soprasenso escatologico, o comunque spirituale. Posso esplorare, leggere i significati anagogici di una storia da cui mi sento slanciato verso vette interiori; quando raccontiamo qual è l’interpretazione che diamo di un film che amiamo molto, sconfiniamo in un’espressione anagogica dell’esperienza di quel film; spesso i migliori pezzi di critica culinaria, riguardo ai migliori ristoranti del mondo, hanno dei tratti anagogici; e davanti alla cameretta ancora in disordine completo, riceviamo delle giustificazioni anagogiche sul fatto che così stimola la fantasia e il contatto col sé creativo.
L’anagogico ci presenta una qualità estesa e versatile perché è estesa e versatile l’esperienza del mistico, l’interpretazione mistica del mondo, la maniera in cui ci fa risalire alle cause prime. Può essere altissima o ironicamente prosaica, ma quel che è sicuro è la sua distanza diametrale dal letterale, da ciò che appare. Per riprenderlo in modo secco, quello anagogico è un significato spirituale. (Il che lo vota, in effetti, ad essere prossimo all’ineffabile — ma ci piace tanto parlare di cose alte, anche a dispetto del rischio di vanvera.)