Aptico

àp-ti-co

Significato Tattile, relativo al tatto, basato sul tatto

Etimologia dall’inglese haptic, retroformato dal precedente haptics ‘studio del senso del tatto’, adattato dal termine latino haptice coniato da Isaac Barrow (matematico inglese della metà del Seicento) a partire dal verbo greco hápto ‘connettere, mettere in contatto, toccare’.

  • «Ho disattivato il feedback aptico della tastiera perché quelle vibrazioncine sotto al dito mi fanno imbestialire.»

È una parola sulla cresta dell’onda per i suoi risvolti tecnologici, ma i dizionari non la considerano: la sua storia attraversa inglese e greco, e la sua origine lega l’architettura delle chiese agli smartphone.

Innanzitutto capiamo che cosa vuol dire — e non ci tocca andare lontano. Quando digitiamo sulla superficie liscia di tanti dei nostri schermi touch, se l’abbiamo impostata possiamo ricevere una risposta aptica (o feedback aptico): in effetti il nostro ditino tocca un vetro liscio e rigido, ma lo schermo ci rende una vibrazioncina che dà l’illusione della fisicità del premere un tasto.

Questo è uno dei centri dell’aptico: lo stimolo tattile continua in un ambito virtuale una sensazione tradizionale, come in uno scheumorfismo del tatto. Ma può anche essere aptica la notifica che si fa riconoscere per una vibrazione particolare (magari in codice Morse), aptica l’interfaccia tramite cui il robot comandato a distanza trasmette ai nostri guanti le sue sensazioni tattili. Insomma, se parliamo di ‘aptico’ parliamo di un’interfaccia capace di movimenti che cogliamo col tatto. Ma da dove salta fuori questa parola?

L’inglese haptic viene dal settecentesco haptics, che alla nascita descriveva una branca scientifica, cioè lo ‘studio del senso del tatto’. È un termine adattato da un omologo latino che era fresco di conio, haptice, inventato dal matematico inglese Isaac Barrow (che fu anche maestro di Newton).

Haptice è a sua volta un nome costruito — era già di moda al tempo! — su un termine della tradizione greca, il verbo hápto. Vorrà dire ‘toccare’? La risposta è «sì, fra l’altro».
Hápto è attaccare, annodare, connettere, mettere in contatto, e anche toccare. In effetti questi significati sono davvero vasti: ad esempio danno origine all’hapsís, una volta, una struttura circolare, ottenuta commettendo elementi ad arco — e da questo termine nasce l’abside, la porzione semicircolare coperta da una volta che stava in fondo alle basiliche romane, e che vediamo ancora in praticamente tutte le chiese.

È da questo arcipelago di significati che è stato pescato l’aptico, qualità di ciò che si connette fisicamente, col tocco, e che quindi pertiene al tatto. Ma qui arriva una domanda grossa come un ippopotamo: perché cercare l’aptico quando abbiamo il tattile? Sono buoni sinonimi, in fondo.

Il tattile, essendo più corrente, ha tessuto una fitta rete di associazioni concettuali. Può evocare roba da bambini, che per la loro evoluzione psicomotoria toccano con feroce entusiasmo cose di diverse consistenze, libri morbidi, pangrattato, cacche; può evocare esperienze da cortigiano di Costantinopoli o da zia Alberta al mercato con stoffe che rendono alla mano sensazioni diverse; può evocare percorsi e paraggi pensati per la fruizione senza la vista di opere d’arte figurativa. Insomma, può evocare roba da polpastrelli, che ha ora un tratto minore, ora inutile, ora ozioso, ora delicato, ma che invariabilmente mal si confà allo slancio cyber-felino, totale e visionario con cui la tecnologia vuole ampliare i nostri sensi e che esige per il suo gergo. Insomma, la risposta tattile è da mammole, la risposta aptica è un balzo nel futuro. Fa anche lievitare il prezzo del device.

Parola pubblicata il 12 Maggio 2022