Arsicciare

Leopardi spiega parole

ar-sic-cià-re (io arsìccio)

Significato Abbrustolire, arrostire, sbruciacchiare, rendere arsiccio, seccarsi

Etimologia dall’aggettivo arsiccio, che vale come ‘sbruciacchiato, mezzo bruciato’, derivato a sua volta, tramite suffisso alterativo, da arso.

  • «Il sole estivo di mezzogiorno arsiccia ogni cosa»

Il fuoco è l’elemento che incendia, divampa, è ciò che bruciando trasforma. È il sole, la luce. È simbolo di vita. E così inevitabilmente il suo verbo, ardere, accende all’ascolto idee di intensità e passione, di forza bruciante, fa pensare agli astri infuocati, al vivo cuore di un vulcano, ma anche al lume sacrale di una candela o all’agile fiamma di un falò estivo.

È proprio durante un falò estivo che potremmo imbatterci in un altro verbo, imparentato con ardere, che più timido e discreto racconta invece di marshmallow puntati sopra le fiamme in attesa di arsicciarsi, così da diventare ambito dessert.

Arsicciare è infatti una voce, di uso piuttosto infrequente, che indica l’abbrustolire, lo sbruciacchiare, l’arrostire, ma anche il diventare riarso e secco. Ne rende bene l’idea un passo tratto dal quattrocentesco Viaggio in Egitto e in Terra Santa di Lionardo Frescobaldi, nella descrizione del paesaggio egiziano fatta dagli occhi di un fiorentino:

Il paese dove eravamo allora era una schienara di sassi arsicciati dal Sole, e quella arsicciatura leva dipoi il vento d’in sulle pietre, e quella è la rena, che è per lo diserto, e molti poggi v’ha che sono tutte pietre iscoperte, e come il Sole arsiccia la pietra, e il vento la porta via, e altra rena non ha in questo paese perché non piove mai.

Qui il verbo, reiterato e piegato ad aggettivo, sostantivo e poi predicato, sembra rendere anche fonicamente lo scricchiolìo del Sole che brucia e secca, di questo mare rovente di sabbia e di roccia arsa che caratterizza molti panorami nordafricani.

Nello Zibaldone, incontriamo più volte questa voce elencata insieme a numerosi altri verbi derivati: frequentativi o, come in questo caso, diminutivi.
Leopardi apprezza infatti fortemente l’arditezza di queste categorie verbali, vale a dire la loro originalità e unicità, il fatto che queste voci esprimano qualcosa di molto specifico, differenziandosi in modo netto rispetto alla parola da cui derivano:

E queste, e le altre formazioni sono di significato certo, determinato, riconosciuto, convenuto e costante, in modo che vedendo una tal formazione, e conoscendo il significato della voce originaria, s’intende subito la modificazione che detta parola formata esprime, dell’idea espressa dalla parola materna.

Così, se ardere ci parla delle fiamme indomite di un incendio, della viva luce del Sole, dell’infiammata passione di un amante o ancora dell’infuriare di funeste battaglie, arsicciare racconta piuttosto di succulente pannocchie lasciate annerire sulla brace, di labbra assetate, di pietre che stridono nella canicola estiva.

Per Leopardi, la ricchezza offerta da derivati come questo è una meravigliosa caratteristica che rende la lingua italiana un’inesauribile fonte di voci sempre nuove, mettendo “a larghissimo frutto le sue radici”. Proprio in luce di questa generosa facoltà della nostra lingua, egli più volte polemizza contro l’assurdità (diffusa negli ambienti del purismo linguistico) di voler vietare la creazione di nuovi derivati:

La pazza idea per tanto (ch’è l’ultimo eccesso della pedanteria) di voler proibire la formazione di nuovi derivati, è lo stesso che seccare una delle principali e più proprie ed innate sorgenti della ricchezza di nostra lingua.

Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri

Uno spunto di riflessione interessante - nella lingua e nella vita - che ci invita a considerare il nuovo come opportunità di arricchimento e non come minaccia, che ci ricorda come aprire, creare, dare libertà sia sempre più fecondo di chiudere, vietare, recintare.
Che è meglio vedere anime che ardono piuttosto che stese ad arsicciare.

Parola pubblicata il 19 Settembre 2022

Leopardi spiega parole - con Andrea Maltoni

Giacomo Leopardi, oltre ad essere un grande poeta, ha osservato e commentato esplicitamente molte parole della nostra lingua. Andrea Maltoni, dottoressa in filologia, in questo ciclo ci racconterà parole facendolo intervenire.