Borborigmo
bor-bo-rìg-mo
Significato Gorgoglio spontaneo dello stomaco o dell’intestino
Etimologia dal greco borborygmós ‘brontolio intestinale’, di origine onomatopeica.
- «No, non sto mugugnando, sono i miei borborigmi.»
Parola pubblicata il 26 Novembre 2024
Non sempre il trucco del greco funziona; ma anche quando non funziona come al solito, il risultato è formidabile.
Si recupera volentieri una parola greca per indicare qualcosa di basso in maniera alta. In ambito medico questa strategia agisce meravigliosamente: puoi allontanare tutta la terragna corporeità di roba ritenuta sconveniente, volgare e imprecisa, grazie alla dottrina di una lingua morta che viene ripresa e rianimata con piglio da Victor Frankenstein. Perché ricordiamolo, il latino è stato fino all’altro ieri una lingua di scienza corrente, mentre il recupero della lingua greca in ambito scientifico ha coinvolto solo parole e più spesso pezzi di parole, elementi da usare in composizione per indicare concetti nuovi e specifici — non tutta la lingua.
Questa strategia funziona mirabilmente, ma ci sono dei casi in cui l’allontanamento riesce meno. Il greco è stato una lingua con una vitalità dirompente, e laddove avesse attinto a delle vene d’immaginazione a cui anche noi continuiamo ad attingere, lo scarto che alterizza ed eleva un concetto viene a mancare, o non è più tanto significativo.
Che il borborigmo sia greco si sente. Quella terminazione in -gmo non lascia dubbi, gmo/-gma li troviamo solo in termini greci, è un marchio di fabbrica. Ci parla con greca e scientifica distinzione di rumori provenienti dal ventre. E però ha una radice…
Se dicessi che il borborigmo è un borboglio della pancia, un borbottio viscerale, userei due parole — borboglio e borbottio — che non sono nobili e greche, ma italiane e plebee, che però significano la stessa cosa agganciandosi allo stesso riferimento. Per quanto grecissimo, e accolto nel lessico della dottrina, il borborigmo è un termine di origine onomatopeica; il fonosimbolismo che cavalca è lo stesso di parole semplici e popolari che si fanno intendere subito. Bor-bo, un parlottare mugugnato, un mormorio di subbuglio — che posso riconoscere nelle due persone scontente che borbottano in prima fila, nel tombino mezzo intasato di foglie e sommerso che borboglia pigramente, e anche nei borborigmi della mia pancia. Un grecismo di fonosimbolismo scoperto.
Così certo il medico mi darà qualche consiglio per dei borborigmi che ho — intensi da far male, e non solo moralmente; ma posso parlare di come nel quieto pomeriggio della domenica, dopo il pranzo, si odano solo la russata e il borborigmo, degli eloquenti borborigmi con cui la pancia partecipa al nostro già impacciato dialogo con chi ci piace, o della pizza fatta non proprio a regola d’arte che si fa scontare con sonori e vibranti borborigmi per tutta la notte.
È una parola che riesce a mescolare insieme due tratti molto diversi: da un lato continua a non essere una parola spiccia — l’ascendenza del borborygmós le dà un’esattezza priva di sbavature, e anche una certa serietà; dall’altro continua ad essere trasparente e familiare. Una specialità magnifica, che ci fa apprezzare caratteristiche solite in maniera insolita.