Cacologia
ca-co-lo-gì-a
Significato In retorica, espressione difettosa dal punto di vista dell’abituale logica del discorso, anche se non costituisce una scorrettezza grammaticale
Etimologia voce dotta recuperata dal greco kakología ‘maldicenza, calunnia’, composto di kakós ‘cattivo’ e -logia ‘discorso’.
- «È un discorso pieno di cacologie, ma spiritoso.»
Parola pubblicata il 30 Novembre 2024
Anche la cacologia ha una vena cacologica. Ma per avvicinarci alla complessità di questa splendida parola e inquadrarne con più facilità le sfumature, partiamo da una sua collega più nota che per molti versi si comporta alla stessa maniera: la cacofonia.
Noi diciamo che è cacofonico qualcosa che suona male. Non è un giudizio sulla correttezza di una parola o di una frase. È una dissonanza che percepiamo, che ha una dose di soggettività; al massimo quel ‘non suona bene’ ci fa adombrare un giudizio su uno stile carente. La cacofonia è un regno di ripetizioni di sillabe, abusi di allitterazioni, ma ci mettiamo volentieri dentro abusivamente anche parole che non ci piacciono e che perciò ci stanno male nell’orecchio. Ma ecco, la cacofonia sceglie di collocarsi con tutta evidenza nella precisa dimensione del suono, con quel che vi si aggancia; la cacologia invece sceglie una via diversa e più versatile — anzi, come vedremo, spesso ciò che in maniera spiccia diciamo cacofonico sarebbe più propriamente cacologico.
La cacologia è l’espressione che troviamo difettosa. ‘Difettoso’ non va inteso come sbagliato tout-court, non siamo davanti a scorrettezze grammaticali vere e proprie — siamo davanti ad abituali logiche del discorso che qui vengono tradite. In pratica, espressioni desuete e appartenenti a gerghi settoriali o parlate locali, modi di dire frusti e artifici retorici fuori fuoco, in certe situazioni possono configurare cacologie.
Se in un contesto formale, al Nord o al Sud, parlo senza ironia di qualcuno dicendo che è un piaccicone (invece di dire ‘posapiano’ o simili), ecco una cacologia. L’abituale logica del discorso non viene rispettata, perché vorrebbe che io cooperassi alla sua comprensibilità — ad esempio usando parole condivise con chi ci ascolta (da fiorentino non mi periterei a usare ‘ganzo’ o ‘garbare’, che per quanto riconoscibilmente fiorentine sono parole comprensibili).
Se parlando a gente profana la giurista consiglia di ripetere il pagamento della somma, ecco un’altra cacologia che pone un serio problema: in un ambito non tecnico, ‘ripetere’ significa ‘eseguire di nuovo’, e non ‘chiedere indietro’ come invece intende la giurista nel suo gergo.
Se nella disfida culinaria partecipo con le mie famose lasagne e dichiaro che le lasagne saranno la corona della mia vittoria, ecco un’altra cacologia. La metafora non funziona granché: le lasagne filano di provola, ma non filano come corona; da un lato è una metafora magniloquente, dall’altro è ridicola — quindi a meno che non sia un effetto voluto, ho contrastato le logiche poetiche che ci portano a saltare fra le metafore.
E se scrivendo in un saggio o parlando fra amici parlo di come come sia temuta la morsa del gelo, ecco ancora una cacologia. Questo genere di espressioni è tipico della lingua del giornalismo scadente, che è orribile e insulsa in ogni caso, ma che è ancora peggiore quando travalica il suo ambito ed entra nella lingua comune.
E anche quando una parola non ci torna e non ci piace (dall’architetta al cringissimo) pur se di solito l’accusiamo di ‘cacofonia’, in effetti stiamo denunciando una cacologia, un difetto logico o stilistico — che beninteso può avere una matrice del tutto soggettiva, determinata dalla non familiarità dell’espressione (siamo tanta gente a usare con gioia e convinzione ‘architetta’ e ‘cringissimo’). Ma può essere determinata anche dalla sovraesposizione a quell’espressione: mi sono spesso imbattuto nel fastidio di persone più grandi di me verso modi di dire come ‘portare avanti’ o ‘nella misura in cui’, che per me sono del tutto neutri e che a loro invece erano sgraditi per il modo in cui avevano furoreggiato in stagioni passate.
Insomma, è un concetto che da un lato ha una consistenza chiara e una presa utile, dall’altro richiede una dose di indulgenza. E ce lo possiamo ricordare bene anche perché… la cacologia stessa è un cattivo adattamento di significato del greco kakología. In origine questo ‘discorso cattivo’ è una maldicenza, una calunnia. Ma nell’ingenuità del recupero rinascimentale, si fa ‘cattivo discorso’, e quindi detto male, con pecche logiche e stilistiche. Un autentico recupero cacologico.