Cori
Dialetti e lingue d'Italia
cò-ri
Significato Varietà linguistica: siciliano — Cuore
Etimologia dal latino cŏr, con lo stesso significato .
- «Pir meu cori alligrari, / chi multu longiamenti / senza alligranza e joi d’amuri è statu, / mi ritornu in cantari»: 'per rallegrare il mio cuore [o forse 'perché è allegro il mio cuore'], che è stato molto a lungo senza allegrie e gioie d'amore, ritorno a cantare' (Stefano Protonotaro, frase in siciliano)
Parola pubblicata il 17 Novembre 2025
Dialetti e lingue d'Italia - con Carlo Zoli
L'italiano è solo una delle lingue d'Italia. Con Carlo Zoli, ingegnere informatico che ha dedicato la vita alla documentazione e alla salvaguardia di dialetti e lingue minoritarie, a settimane alterne esploriamo una parola di questo patrimonio fantasmagorico e vasto.
«Dammi tre parole, sole cuore e amore» diceva l’immortale successo estivo di ormai quasi 25 anni fa, dell’indimenticata Valeria Rossi. Invece, Stefano Protonotaro, poeta e intellettuale siciliano del ‘200, di cui ci è giunta una delle rarisssime poesie di quella scuola poetica scritta autenticamente in siciliano senza aver subito una ‘riverniciatura’ toscaneggiante, quella rima non avrebbe potuto farla, come si vede dall’esempio di oggi, perché in siciliano cori e amuri non rimano per niente, né nel ‘200 né attualmente.
A dire il vero, non rimano tanto bene nemmeno in italiano, perché le due ‘o’ sono di timbro diverso: ò aperta per cuore, ó chiusa per amore. Senza eccedere in dettagli, si può dire che in italiano il valore ‘oppositivo’ di queste due vocali è così basso, cioè ci sono talmente poche coppie di parole che si distinguono solo per questa diversa apertura della ‘o’ (praticamente solo bótte per tenerci il vino e bòtte che mi daranno i miei lettori se continuo su questa linea), che possono essere all’atto pratico considerate la stessa vocale, e quindi formare rime valide.
Ma in latino sono abbastanza distinte (rispettivamente o breve e o lunga) da dar luogo a vocali diverse nelle lingue romanze: la situazione è complicata e ve la risparmio, almeno in parte. Vi dirò solo che ci sono pochissimi dialetti in cui non si distingue mai tra vocali lunghe e vocali brevi: solo in Sardegna e in una remota zona tra Basilicata e Calabria del nord, scoperta ovviamente da un dialettologo tedesco. In altri dialetti invece le lunghe e le brevi contano, ma magari non sempre, o non in sillabe del tipo di quelle di cuore-amore.
In napoletano, lingua che sarebbe ben avvezza a parlare di còre e di ammóre, le due vocali hanno, anche qui, gradi di apertura diversi, ma sono usate in rima, anche se non frequentemente. Non esiste, a mia conoscenza, un corpus digitale filologicamente affidabile dei testi della canzone napoletana (e ce ne sarebbe un gran bisogno): ma basti la notissima Sordato ‘Nnammurato.
In sardo còro/amòre, in genovese cheu (pron. /cöö/)/amô (pron. /amuu/), in ladino cuer/amor, in friulano cûr/amôr, in romagnolo non rimano a Faenza, ma rimano a Dovadola; in gran parte della Puglia rimano, con quei frangimenti vocalici così tipici.
Come si vede, le forme di ‘cuore’ sono abbastanza differenziate, perché sono parole di trafila popolare, mentre le forme di ‘amore’ si assomigliano un po’ tutte. Già, perché anche in italiano non è del tutto chiaro se amore è una parola patrimoniale o un cultismo: l’italiano è cambiato talmente poco dal latino che i membri di alcune coppie di allotropi sono… uguali. Una spia del fatto che potrebbe essere una forma colta sono da una parte i dialetti italiani, dall’altra lo stesso francese, in cui si dice amour, che è un provenzalismo poetico, e la parola ‘originale’, che sarebbe ameur, è ormai desueta e significa ‘calore della vacca’, ‘foia’.
Ma noi siamo più ambiziosi: vogliamo trovare dialetti italiani in cui ‘sole’, ‘cuore’ e ‘amore’ rimano tutti e tre, come sarebbe piaciuto all’autrice della nostra canzone. Bisogna trovare sistemi linguistici in cui si abbia anche il fenomeno del rotacismo, cioè del fatto che -l- tra vocali diventa -r-. E anche qui la questione è assai intricata, sia perché in alcuni di essi le due -r- (quella originaria e quella derivata da -l-) sono diverse: ad esempio ‘r’ uvulare ‘moscia’ in un caso e -r- alveolare ‘trillo’ nell’altra, sia perché si sono numerosi altri dettagli da tenere in conto.
Vi confesso che servirebbe un progetto di ricerca ad hoc per risolvere in modo rigoroso la questione. Dalle mie conoscenze imperfette, dato non sono riuscito ancora a consultare tutti gli atlanti linguistici, posso dire che: in Val Badia c’è rotacismo, ma ahimè ‘sole’ si dice ‘solicolo’ (surëdl) e quindi niente. In certe zone del Campidano si dice sori e amori, e ci saremmo quasi, ma poi si dice coru, e quindi ancora niente. Rimane aperta la questione, chiediamo aiuto ai nostri pazienti lettori.