Cupreo

cù-pre-o

Significato Di rame, color del rame

Etimologia voce dotta recuperata dal latino cupreus ‘di rame’, da cuprum ‘rame’.

Non facciamo finta che non sia un aggettivo letterario, magnificamente spendibile solo in casi eletti. Ma capendo parole come queste riusciamo anche a trovare uno sguardo diverso su altre parole più consuete.

Cupreo significa ‘di rame’, e per naturale estensione ‘che ha il colore del rame’. Termine semplicissimo, quindi. Ciò che lo rende poco trasparente è la derivazione da cuprum, che in latino significava appunto ‘rame’, ma che in italiano non ha avuto un seguito popolare.

‘Rame’ ha una trafila etimologica delle più barbare (testimone di quanto vivacemente il nome di questo metallo fondamentale abbia corso di bocca in bocca): deriva dal latino aes (aeris nel caso genitivo), che significava sia ‘rame’ sia ‘bronzo’ — e questo non è strano, il bronzo è una lega metallica composta principalmente di rame. Nel latino tardo aeramen passa a indicare ferramenta composta di questi metalli, e dopo un volo secolare nel parlato (attraverso la forma aramen), in italiano atterra come ‘rame’, nuovo nome di questo materiale.

Cuprum invece ha solo esiti dotti, in italiano. A ben vedere, è da questo nome latino che viene il simbolo internazionale del rame quale elemento chimico, Cu (mi ricordo la scocciatura, da piccolo, di quando sull’atlante le miniere di rame erano segnate con ‘Cu’ — come pareva cervellotico! E metti ‘Ra’, no? O il dio del sole s’indispettisce?). L’origine è pulita e magnifica: fra i giacimenti di rame più famosi dell’antichità c’erano quelli dell’isola di Cipro. Il metallo che da lì veniva, pianamente aes Cyprium, ha finito per diventare cuprum — e ‘di rame’, cupreus.

Questo termine viene recuperato dal latino alla fine del Settecento. Ora, difficilmente parleremo di prestigiose pentole cupree, fili e tubi cuprei: preferiamo dire ‘di rame’. Ma a ben vedere anche il ‘ramato’ ha i suoi limiti. Il cupreo ha il pregio forte della vaghezza scontornata, che accenna appena al materiale e al suo colore, mentre il ramato nasce come participio passato di ramare, cioè ‘ricoprire di rame’ — un po’ più concreto, un po’ più pesante, ma anche un po’ più superficiale. Pensiamo alla differenza analoga che corre fra l’aureo e il dorato.

Allora è giusto ed evocativo parlare dei riccioli ramati della nostra (sospiro) amica del liceo, c’è tutto il tono autunnale che riconosciamo al rame, ma se li diciamo cuprei, così come possiamo dire cupree le nubi in un tramonto o la luce di quel tramonto che investe te, e cuprei i riflessi delle candele fra i bicchieri, e cupreo il lampo di una volpe nella boscaglia, impostiamo il tono in un’altezza più sospesa, delicata, meno didascalica — un riferimento eterno a Cipro, in cui il rame non vale tanto come colore, quanto come sentimento.

Parola pubblicata il 18 Marzo 2021