Derubricare

de-ru-bri-cà-re (io de-ru-brì-co)

Significato In diritto penale, escludere un fatto dalla rubrica di reato in cui era stato incluso; diminuire d’importanza, reinquadrare a livello più basso

Etimologia composto parasintetico di rubrica, con un prefisso de- che indica separazione e un suffisso verbale; a sua volta è una voce dotta recuperata dal latino rubrìca ‘rossa’ (sottinteso ‘terra’) in riferimento all’ocra usata per scrivere in rosso, derivato di ruber ‘rosso’.

Nell’uso corrente il derubricare è un abbassare d’importanza, un diminuire, un ridurre. Un uso piuttosto raffinato, preciso, che trasmette anche una certa consapevolezza d’eleganza in chi lo usa. Ma che diavolo c’entra la rubrica?

Per capirlo dovremo addentrarci un pochino nel mondo del diritto, dove nasce il derubricare, ma prima è necessario comprendere che bestia gigantesca sia la parola ‘rubrica’. Si tratta di una parola con significati vastissimi e variegati — dai quadernetti coi margini a scaletta segnati con le lettere dell’alfabeto ai titoli degli articoli di legge, dalle sezioni fisse dedicate a un certo argomento sui media di massa, alle lettere iniziali di capitoli e paragrafi degli antichi codici manoscritti, dal riassunto che si usava mettere all’inizio di un racconto (Boccaccio spoilera tutto subito) fino all’ocra rossa. Anzi, proprio questa è il cardine delle altre accezioni: la rubrica in latino è la rossa, la terra rossa, usata per segnare di rosso, o per scrivere in rosso titoli e intestazioni — come, con millenaria continuità, abbiamo fatto noi sui nostri umili quaderni.

In diritto la rubrica, come dicevamo, è in primis il titolo dell’articolo di legge — indicativo, che titola una legge ma non è esso stesso parte della legge (rubrica legis non est lex, si dice dandosi un tono). Ma non è specificamente questa la rubrica che ci interessa per il derubricare; piuttosto, è la cosiddetta ‘rubrica di reato’. Nel processo penale, la pubblica accusa formula una descrizione concisa del fatto attribuito all’imputato, qualificata giuridicamente dall’indicazione degli articoli che lo prevedono come reato: questa è la rubrica di reato.

Durante il procedimento penale il fatto può essere derubricato — può cioè essere tolto dalla rubrica di reato che era stata formulata, e spesso riqualificato in una maniera meno grave. Ad esempio, l’omicidio volontario viene derubricato in eccesso colposo di legittima difesa, il tentato omicidio in lesioni e via dicendo.

Si tratta di un verbo che risuona, sui giornali e nel discorso pubblico: il suo non è mai percepito come un senso meramente tecnico — rappresenta sempre una svolta in una storia, una diminuzione che muove, solleva, accende. Perciò non ci stupiamo che questo suo carisma lo abbia fatto espandere anche fuor di procedimento penale, portandolo a significare in genere una riqualificazione, ricategorizzazione a un rango, a un livello inferiore.

Così l’animaletto di cristallo che ci viene regalato con gran cerimonia viene subito derubricato a ciarpame pigliapolvere da destinare all’oblio di un cassetto, la rassicurazione pubblica derubrica il sospetto serpeggiante in diceria sciocca e malevola, e invano si tenta di derubricare l’uscita infelice in provocazione.

Una parola dai natali serî come pochi altri, e che però è riuscita a trovare una sua pettinata brillantezza.

Parola pubblicata il 13 Novembre 2021