Enarmonico

Le parole della musica

e-nar-mò-ni-co

Significato 1) Uno dei tre generi dell’antica musica greca; 2) nell’uso attuale, di un suono che nel temperamento equabile, pur avendo un nome diverso, ha lo stesso suono di un altro (es. La diesis = Si bemolle)

Etimologia dal latino tardo enarmonius ‘enarmonico’, dal greco enarmónios, derivato di harmonía col prefisso en- ‘in-’.

  • «L'arpa non utilizza i doppi diesis e i doppi bemolli, quindi un Do doppio diesis si scriverà con il suo enarmonico Re.»

Parole come armonico o armonia sono rassicuranti, familiari, e possono contare su limpidi sinonimi figurati: armonioso, proporzionato, euritmico

Enarmonico, pur essendo un termine strettamente correlato e ‘quasi’ sinonimo di armonico, non è altrettanto accessibile. Certo, fa ancora bella mostra di sé nei moderni dizionari della lingua, dimostrando una singolare vitalità, ma a guardarlo da vicino balza subito agli occhi che ha subìto profondi cambiamenti nel tempo.

Nella musica dell’antica Grecia faceva parte della triade di generi chiamati diatonico, cromatico e enarmonico. Ogni genere era contraddistinto da uno schema di intervalli all’interno di un tetracordo, ossia di quattro corde contigue della cetra. La prima e l’ultima corda (la quarta) circoscrivevano un intervallo di quarta (diatessaron). I differenti tetracordi costituivano una sorta di moduli-base per la costruzione di tutti i sistemi scalari. Quello enarmonico era, insomma, uno dei tre gene fondamentali dell’intero sistema musicale dell’antica Grecia. Era costituito da una terza maggiore discendente, più due quarti di tono, dando luogo a una sequenza di suoni che non hanno corrispondenza nell’attuale sistema musicale.

Con il trascorrere del tempo e lontano dal contesto nativo, divenne sempre meno facile cogliere il significato originario di enarmonico e le sue possibilità d’impiego. Già nella tarda antichità, Marziano Capella forniva spiegazioni semplificate del sistema musicale greco e ormai dell’enarmonia era rimasta più che altro un’idea di complessità.

Poi arrivò il Rinascimento; l’espressione artistica s’ispirò alla classicità e alla natura, luoghi di un’umanità felice dedita a una vita migliore di quella offerta dalla realtà ordinaria. Si riaccese l’interesse, mai sopito, per il mito; intellettuali, musicofili, musicisti ed eruditi, di cui l’anima più fervida fu probabilmente il grecista Girolamo Mei, tentarono l’impossibile: ripristinare la musica greca nella speranza di recuperarne i suoi meravigliosi effetti sull’animo umano. Il genere enarmonico tornò in auge, perlomeno in teoria.

Tra sperimentazioni e innovazioni, l’aggettivo si trova infatti nella lingua italiana, oggetto delle discussioni di appassionati e specialisti. Il fervore che regnava era così forte, che il compositore Nicola Vicentino si spinse a ideare un archicembalo e un arciorgano in grado di suonare tutti e tre gli antichi generi. Ne andava fiero e ne magnificava le prestazioni, affermando che l’arciorgano era anche molto pratico da trasportare, avendo disposto le due canne più lunghe coricate dietro tutte le altre. Una volta smontato, bastava un solo mulo per portarlo da un luogo all’altro! Forse era davvero maneggevole, ma era molto difficile da suonare. Uno di questi rarissimi strumenti era posseduto da Alfonso II duca di Ferrara. Quando voleva meravigliare ospiti illustri, incaricava Luzzasco Luzzaschi di suonare due ultracollaudate composizioni che li avrebbero stupiti.

Intanto maturava l’epoca barocca, durante la quale si chiamarono enarmoniche le composizioni in cui erano presenti numerose note alterate, come la Fuga diatonica, enarmonica, cromatica di Niccolò Porpora.

All’inizio del Novecento, i futuristi rimasero affascinati dal mondo enarmonico. Tuttavia, con l’affermazione della tonalità e l’impiego sempre più frequente del temperamento equabile, l’aggettivo mutò significato ancora una volta.

Oggi si dicono enarmoniche le note differenti per nome, ma omofone, ‘adattate’ a un suono unico (del resto, in greco antico enarmónios significava proporzionato, armonioso ma anche adatto).

Questo ‘accomodamento’ funziona solo nel temperamento equabile, che divide l’ottava in dodici semitoni uguali. Intonare, mettiamo, il Si bemolle come se fosse un La diesis, è un ottimo grimaldello per muoversi fluidamente da una tonalità all’altra, anche lontanissima. Un esempio? Ecco una semplice modulazione da Do maggiore a Mi maggiore:

Dopo aver passato in rassegna il termine enarmonico, e i suoi slittamenti semantici nel corso del tempo, anche oggi siamo arrivati alla fine di questa breve trattazione. Certo, con una parola del genere, niente usi figurati. Però esplorare terreni poco battuti, ma che nel nostro passato arricchivano il bagaglio di ogni persona di cultura, forse ci può avvicinare a un ideale umanistico di conoscenza.

Parola pubblicata il 17 Agosto 2025

Le parole della musica - con Antonella Nigro

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