Epicedio

e-pi-cè-dio

Significato Componimento poetico funebre

Etimologia voce dotta recuperata dal latino tardo epicedio, prestito dal greco epikédeion, composto da epi ‘sopra’ e kêdos ‘funerale’ (sottinteso, ‘canto’).

Questa parola ci permette di concentrarci, anche con un’ironia un po’ scura, su un momento particolarmente sentito e controverso della vita comune: la celebrazione di chi muore.

Come si nota facilmente, ‘epicedio’ è un termine di ascendenza greca. Si trattava propriamente di un canto funebre popolare, accompagnato da danze com’era il costume greco, che veniva composto per l’occasione e cantato coralmente al suono di flauti. Una lamentazione molto commossa e solenne, di una ritualità invidiabile, che col passare dei secoli, e con l’ampliamento degli orizzonti culturali della Grecia, prese forme differenti, per giungere ad essere, più ampiamente, il componimento poetico funebre. Ma la storia dell’epicedio continua, sebbene in altra forma.

Infatti quella del componimento poetico funebre non è più una pratica tanto in voga: vediamo ogni anno morire centinaia di persone che hanno dato tanto al mondo, ma capita rarissimamente di leggere poesie a loro onoranza — come dicevo, non è una pratica. Eppure si riconosce ancora benissimo, in una dimensione figurata, lo sforzo verso il canto, la lamentazione funebre: ‘epicedio’ è un termine che continua a evolvere, e svincolandosi dalla necessità di una forma poetica si fa più in genere espressione pubblica di cordoglio ed elogio — forte almeno di una vena retorica, se non artistica.

In questa veste l’epicedio oggi è comune: chiunque abbia a disposizione un pulpito da cui parlare (quindi semplicemente chiunque, oggi) può facilmente spingersi a celebrare con sforzo espressivo una persona morta. Dopotutto, ogni scampolo di rito che resta intorno alla celebrazione di chi muore serve a chi resta, ed è normale che per questo ufficio diffuso si colgano le occasioni che si hanno.

Non è quindi strano che gli epicedi dicano di più su chi li scrive o pronuncia, piuttosto che su chi è morto: nel cordoglio e nell’elogio l’epicedio seleziona una narrazione dell’esistenza terminata, descrive una rete di rapporti, di ricerche, di valori, importa delle testimonianze — stabilizza un’interpretazione di una vita. Senza contare che spesso è un’occasione per incensare sé stessi, e parlare di sé direttamente (“La sua statura era inarrivabile, vedeva ciò che altri non vedevano. Lo conobbi alla mia premiazione, quando mi disse che ero il migliore.”)

Ma senza i tratti protocollari del necrologio o dell’elogio funebre, senza l’evenemenzialità cronachistica di una biografia, senza la lapidarietà di epigrafi o addirittura epitaffi, l’epicedio resta un concetto unico, di straordinaria e versatile importanza. Si può parlare degli epicedi che piovono sulle pagine del social network alla morte della persona famosa, delle quattordici pagine di epicedio che il quotidiano aveva evidentemente in canna, ma anche dell’epicedio che il nostro amico trova la lucidità per pronunciare con tratti di vera poesia quando noi sapremmo solo tacere.

Parola pubblicata il 06 Ottobre 2021