Epistocrazia
e-pì-sto-cra-zì-a
Significato Forma di governo che subordina la partecipazione politica personale, attiva e passiva, al possesso di certe conoscenze e competenze
Etimologia composto dagli elementi greci epistéme ‘conoscenza’ e -kratia, da kràtos ‘potere’.
- «Serve una riforma epistocratica!»
Parola pubblicata il 06 Dicembre 2024
È una parola molto à la page, per quanto non ancora accolta nei dizionari, di gran moda in quegli ambienti e ambiti in cui si critica la democrazia sognando un’alternativa… migliore. Ma niente di nuovo sotto il sole, l’epistocrazia nei fatti è ciò che sognava anche Platone nella sua Repubblica; la parola inoltre è fatta con pezzi greci, anche se in greco non esisteva — e finisce nel mucchio delle -crazie descritte, temute o vagheggiate.
In greco epistéme è la conoscenza — ed è una di quelle parole che sono in grado di darci la dimensione di una prima intuizione di concetti importanti. Il verbo epístamai è composto da un epi- che ci è noto da varie composizioni, che significa ‘sopra, presso’, e da un hístamai che è uno ‘stare in piedi’ (viene da una radice indoeuropea ricostruibile come sta-, da cui anche lo stehen tedesco, lo stand inglese, e ovviamente il nostro stare). Conoscere e apprendere è confrontarsi con una realtà, frequentarla, starci: il confronto dell’epistéme è uno ‘stare sopra’, che sostanzia la conoscenza. In effetti continuiamo a dire e pensare questa figura, «Quanto ci sono stato sopra, per capirlo!» Meraviglioso.
Invece il -crazia ha la solita derivazione da krátos, ‘potere’, che già in greco, come -kratia, aiutava a parlare di forme di governo — aristocrazia, democrazia e via dicendo.
Un po’ come accade a -fobia, anche -crazia si presta ad essere impiegato per comporre letture nuove di fenomeni attuali (qualche tempo fa parlavamo della cleptocrazia, ad esempio), che il più delle volte sono forme di potere problematiche o indesiderabili. Invece l’epistocrazia, almeno nelle intenzioni di chi l’ha coniata e ribattuta, dovrebbe essere desiderabile. Sembra che l’invenzione sia di David Estlund, ripresa e circostanziata da Jason Brennan — entrambi filosofi. Ma non ci importa troppo, perché le parole inventate che riescono ad essere usate, poi vanno per il mondo, e si sviluppano in maniera… democratica, non epistocratica.
L’epistocrazia sarebbe il desiderabile governo della gente padrona della conoscenza. In quest’ottica il suffragio universale è una stortura, che permette l’accesso alla politica attiva e passiva anche a torme cretine: serve che a eleggere e ad essere elette siano persone che sanno.
Naturalmente, che a votare e ad essere votate siano persone che sono state sui temi e sulle situazioni, capaci di muovercisi dentro, piuttosto che persone che agiscono in modo estemporaneo e secondo l’umore, è un auspicio luminoso; ma chi sostiene l’epistocrazia come alternativa alla democrazia spesso dimostra di non essere troppo addentro alle finezze dell’epistéme e dell’epistemologia, cioè la disciplina che si occupa di come si costruisce il sapere e di quali sono i suoi limiti.
Infatti, bene la conoscenza… ma quale? Secondo quale paradigma si valuta chi sa e chi non sa? Chi decide che cosa va saputo, e come? Semplificando qui quanto ci è imposto, anche se tanta gente pare non tenerlo presente, non esiste una scienza, una conoscenza che mattone su mattone progredisce dall’alba dei tempi al futuro ultimo. Chi decide quale è la conoscenza da avere per poter partecipare alla politica, il cardinale Bellarmino o Galileo? Gli oggetti di studio, le domande, i metodi accettati possono variare, e l’anomalia è da valorizzare: può essere un errore da emendare, ma anche un punto di vista diverso e insospettabilmente fertile, o una crepa che svela un nuovo paradigma da adottare. Non si può sapere aprioristicamente. La partecipazione aperta, con tutti i problemi di partecipazione cretina che fa insorgere, almeno non richiede conformità, o di stilare i criteri giusti di chi è dentro e di chi è fuori — non c’è persona abbastanza saggia per farlo.
Quello dell’epistocrazia è un sogno aristocratico fra gli altri (ricordiamo che aristokratía è il ‘governo dei migliori’), poetico e tenero come tanti sogni aristocratici, con una noce di giustizia e una di sopraffazione. Dopotutto, se Platone voleva che la sua Repubblica fosse governata dai filosofi, specularmente Federico II di Prussia diceva «Se volessi punire una provincia, la farei governare dai filosofi».