Fasto

fà-sto

Significato Di ognuno dei giorni in cui, nell’antica Roma, era lecito trattare cause, affari e simili, e per estensione propizio, favorevole; ostentazione di ricchezza e magnificenza, ostentazione di sé

Etimologia nei primi significati, da fāstus ‘legittimo’, detto in particolare di giorni in cui erano lecite certe attività; nei secondi, da făstus ‘alterigia, superbia’.

Due parole diverse che si scrivono e pronunciano allo stesso modo, per quanto possano avere storie lontane fra loro, per quanto possano portare tagli di significato del tutto distinti, per quanto abbiano vesti grammaticali differenti, di fatto convivono in una medesima forma. E nella convivenza si influenzano sottilmente — tanto che si possono confondere. Oggi vediamo una convivenza particolarmente dissonante.

Il primo ‘fasto’ di cui parliamo è un aggettivo che ha la sua matrice nella religione antica. Deriva dal latino fas, letteralmente ‘ciò che è lecito per la legge divina e per la morale’, con un profilo di comando — e il fāstus (con la ‘a’ lunga) era il legittimo. La sua ascendenza indoeuropea lo collega probabilmente a un significato radicale di ‘pronunciare’.
Come abbiamo avuto modo di notare parlando di calende, il calendario romano era complesso e delicato: vi si avvicendava un turbine di giorni stabiliti per questa o quell’attività civile o religiosa, in cui vigevano (a volte di ora in ora!) divieti diversi. Un dies fastus era un giorno in cui era legittimo trattare i propri affari, discutere cause in tribunale e simili. È da questa legittimità — che scaturisce da un ordine voluto nella sfera sovrumana — che il fasto acquista il senso di ‘propizio, favorevole’.

E tale resta, in una lingua ricercata: così come a contrario diamo l’attributo del nefasto, si può parlare di un periodo fasto per il grande amore che ci riconosciamo intorno, di un successo che prendiamo come segno fasto per tornare a impegnarci su un versante che avevamo abbandonato, di un’amicizia fasta per la crescita professionale. Forse vi resta la percepibile impronta classica di un propizio sovrumano, ancor più che nel fratello e sinonimo fausto, che ha maturato tratti più benigni.

Se parliamo dei fasti della corte medicea, del fasto di un ricevimento di matrimonio, possiamo farci l’idea che quello sfarzo, quella ricchezza conseguano al significato del propizio e del favorevole. Non è così.

In latino esisteva un altro fastus (făstus, con la ‘a’ breve) che aveva il significato di ‘alterigia, superbia’. La sua origine indoeuropea lo colloca nella sfera semantica dell’avversione — e si sviluppa tutto in questo senso: ad esempio, è il padre del fastidio. Il dato interessante è che questo nodo latino di orgoglio e disprezzo ha continuato i suoi significati (come nome, il fasto) nel senso dell’opulenza, della magnificenza, che sono qui concepite indissolubilmente dalla loro ostentazione, dal loro sfoggio — che è ostentazione e sfoggio di sé. Un arco che conduce una bellezza arrogante, sdegnosa, fino a tratti di decadenza: in questo fasto d’oro c’è un germe d’autunno.

Questo rilievo ci fa percepire in maniera molto diversa — e più sgradevole — le normali considerazioni sui fasti della Venezia cinquecentesca, sui fasti di chi si raduna in località sciistiche di gran blasone, sul fasto di una gratificazione lavorativa: conferisce una profondità psicologica, e una risonante vanità. E ci aiuta anche a considerare meglio, stagliata sul fasto-nome, la qualità del fasto-aggettivo — il fasto fausto.

La qualità del fasto è uno spazio; non è propizio perché una volontà celeste ha parlato, lo sostiene e lo vuole direttamente e lo guida verso esiti magnifici. È propizio in virtù dello spazio in cui è compiuto, che gli è concesso. Il fasto è la qualità di un propizio disponibile.

Possiamo però reintrecciare un filo: l’individuazione dei giorni fasti sul calendario, nell’antica Roma, maturò un’importanza tale che i fasti divennero il calendario tout-court, e quindi annali consolari, fino a note di eventi memorabili. Così i fasti diventano anche le pagine memorabili di una storia, scure o gloriose — caso in cui, ironia della convergenza, coincidono volentieri con pagine di fasti sfarzosi.

Parola pubblicata il 01 Gennaio 2022