Gattamorta

Parole d'autore

gat-ta-mòr-ta

Significato Persona che nasconde intenzioni malevole sotto un’apparenza docile e ingenua. In particolare donna che, allo scopo di sedurre un uomo, lo compiace pedissequamente e ostenta il proprio bisogno di protezione

Etimologia composto di gatta, derivato dal latino tardo cattus, forse di origine celtica, e dal participio passato di morire.

Il primo incontro con questa parola mi gettò, ricordo, in grave perplessità: evidentemente implicava la capacità di attrarre gli uomini, ma non capivo cosa potesse esserci di così attraente in un gatto morto.

L’enigma si rischiara se risaliamo alla favola da cui il termine prende origine. Esopo racconta infatti di un gatto che si finge morto per spingere i topi della casa a uscire allo scoperto. Una tecnica che, per inciso, i gatti non praticano ma altri animali sì, sia per attacco che per difesa. Pare che il più bravo di tutti sia l’opossum, capace anche di emanare un liquido che simula l’odore della putrefazione; tanto che in inglese esiste l’espressione to play possum (‘fingersi morto’).

Dunque ‘fare la gattamorta’ significa mostrarsi inoffensivi, spingendo gli altri ad abbassare le proprie difese per approfittarne al momento opportuno. È uno degli innumerevoli casi in cui un animale è stato preso a emblema di un comportamento o di un tipo umano: abitudine diffusasi proprio con le favole di Esopo e arrivata fino a oggi (pensiamo a Topolino e Paperino). Per di più questo termine ha il pregio di accostare l’immagine dell’ingannatore a quella di una carogna, il che è probabilmente una delle ragioni del suo successo.

Va precisato però, a onore dei topi, che l’inganno del micio non riesce; e anche questo è tipico di Esopo. Molti dei suoi protagonisti infatti sono animaletti da nulla che si riscattano con l’intelligenza. Un leitmotiv dettato, secondo la tradizione, dal fatto che l’autore stesso era uno schiavo, divenuto consigliere di sovrani e città grazie alla propria arguzia.

Tuttavia, risolto un enigma, ne sorge un altro. Esopo parla genericamente di un gatto: quando mai si è deciso che fosse di sesso femminile? Già vedo infuocarsi gli occhi delle femministe: colpa del sessismo, è chiaro. Oltretutto, a ben pensarci, la nostra lingua è piena di feline di malaffare: la famigerata gatta che tanto va al lardo da lasciarci lo zampino, l’irritante gatta da pelare, la subdola gatta che cova.

In realtà la spiegazione è linguistica: in passato, soprattutto in Toscana, ‘gatta’ si riferiva all’animale in generale; tanto che il primo Vocabolario della Crusca riporta solo la forma ‘gatta’ e non ‘gatto’. Di per sé quindi la gattamorta potrebbe essere anche un uomo. Infatti nei Promessi sposi è padre Cristoforo a possedere, secondo Attilio, un “fare di gatta morta”.

È vero comunque che col tempo la parola ha preso un significato molto specifico: la maliarda che nasconde sotto l’apparente debolezza una sensualità invischiante, e sotto la falsa cortesia una spietata rivalità verso le altre donne, cui è pronta a sottrarre mariti e fidanzati. In una sola figura si fondono così due stereotipi maschilisti di antica data: la femme fatale, divoratrice degli incauti, e la femme fragile, bisognosa di costante protezione.

In ultimo ricordiamo, per par condicio, che esiste un (parziale) equivalente nel mondo maschile: il ‘cascamorto’, corteggiatore svenevole e dalle intenzioni ambigue. In Puglia poi la gattamorta fa pendant col ‘lupo sordo’ (contrazione di ‘sordido’), colui che persegue i propri scopi con malizia occulta.

Parola pubblicata il 08 Febbraio 2021

Parole d'autore - con Lucia Masetti

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