Indragarsi

Parole d'autore

in-dra-gàr-si (io mi in-drà-go)

Significato Diventare un drago, letteralmente o figuratamente

Etimologia composto parasintetico di drago (che attraverso il latino draco è dal greco drákon ‘drago, serpente’) col prefisso in- nel significato di ‘entrare dentro’.

Parrebbe un po’ strano trovare la Divina Commedia sullo stesso scaffale di Eragon e del Signore degli anelli, ma tra le tante cose Dante è anche questo: uno scrittore fantasy. La cosa tende a sfuggirci perché la mitologia cui attinge è quella classica e non quella germanica, che oggi va decisamente più di moda; tuttavia a guardar bene si trovano creature fantastiche per tutti i gusti.

Confusi tra gli ignavi, per esempio, ci sono numerosi esseri che volendo potremmo immaginare come elfi, orecchie a punta e tutto il resto. Nell’antinferno infatti sono accolti anche gli «angeli che non furon ribelli / né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro»: creature tra il maligno e il benefico che, nella tradizione popolare, tendevano appunto a identificarsi con spiritelli, elfi e simile genia.

E poi naturalmente ci sono i draghi; certo, per come se li immaginavano i medievali, vale a dire serpentoni molto cattivi. Nella tradizione occidentale infatti draghi e serpenti sono quasi intercambiabili (il greco drákon possiede entrambi i significati) ed entrambi sono simbolo del diavolo, come la Bibbia ribadisce dalla Genesi all’Apocalisse.

Nella Commedia si contano, possiamo dire, due draghi e mezzo (Gerione infatti ha solo il corpo da serpente, integrato con materiali assortiti). Uno, nel Purgatorio, è una pura allegoria, espressione della forza distruttiva di eresie e scismi. Ben più d’impatto è il letterale ‘indragamento’ cui assistiamo in Inferno XXV, un canto che sembra uscito fresco fresco da un libro di Harry Potter.

Anzitutto le anime sono circondate da serpenti mostruosi (con e senza zampe) e, appena morse, si riducono in polvere, per poi rinascere come una grottesca fenice dalle proprie ceneri. Non solo: loro stesse si fondono con i serpenti, dando origine a orrendi ibridi. Il custode della bolgia poi li supera tutti: già ibrido di suo (essendo un centauro), è ricoperto da una massa di bisce e da un drago che vomita fuoco. Giusto per mantenerci sul sobrio.

È nel Paradiso però che Dante se ne esce con la parola ‘indragarsi’, qui usata in senso metaforico. Cacciaguida descrive infatti una famiglia fiorentina che «s’indraca / dietro a chi fugge, e a chi mostra il dente / o ver la borsa come agnel si placa» (Par. XVI). Ossia incrudelisce come un drago contro gli inermi, mentre diventa un agnellino con i violenti e i ricchi. In questo senso ‘indragarsi’ è quasi sinonimo del suo stretto parente ‘inviperirsi’, e può descrivere tanto un’esplosione di rabbia quanto un’ira duratura.

D’altra parte oggi i draghi sono stati molto rivalutati, anche per influsso della cultura orientale (in cui hanno, al contrario, un valore positivo). Potremmo quindi usare questa parola, perché no, anche per descrivere una reazione infiammata ma non ostile, come quella dell’amico che si indraga durante un dibattito, accalorandosi nell’argomentare. Se poi il discorso cade sulla politica, ecco che questo verbo può acquistare un’inaspettata attualità (per esempio la mia sorella economista è al momento assai indragata, ossia fervidamente entusiasta del nuovo Presidente del Consiglio).

Un’ultima nota curiosa: in rumeno il verbo îndrăgosti significa ‘innamorarsi’, il che evoca l’immagine di amori infuocati e feroci. In realtà però sembra che abbia tutt’altra origine: forse dallo slavo dragostŭ, ‘miracolo’. Niente mostri volanti, insomma, ma un prodigio di diverso genere.

Parola pubblicata il 22 Febbraio 2021

Parole d'autore - con Lucia Masetti

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