Ignavo
i-gnà-vo
Significato Privo di forza morale, inerte e vigliacco davanti alle scelte da compiere
Etimologia voce dotta, recuperata dal latino ignavus, derivato di (g)navus ‘diligente, operoso, attivo’, con prefisso negativo in-.
- «Non ti aspettare alcuna partecipazione; sono un branco d'ignavi.»
Parola pubblicata il 15 Gennaio 2025
Esistono degli spartiacque fra i concetti: ma in alto, sul crinale, si possono trovare delle parole che partecipano dei due versanti — e spesso sono parole di alto rilievo, capaci di offrirci una vista unica su una realtà umana complessa.
Se prendiamo l’ignavo, di qua c’è il pigro, di là c’è il vile. Sono attributi che distinguiamo bene: il boffice pesante non mi rende incapace di scegliere con coraggio, e posso essere vigliacco in maniera estremamente industriosa. Ma hanno uno spazio morale d’intersezione.
Ora, parlando di ignavi è un passaggio obbligato parlare di quelli della Commedia di Dante, gli ignavi per antonomasia: il branco che corre senza costrutto nel vestibolo dell’inferno (III canto), repulso dai beati e perfino dai dannati — che se ci fossero mischiati insieme s’inorgoglirebbero. Questi ignavi sono proprio i peggiori di tutti, si direbbe.
Va detto che Dante, nella manciata di terzine che vi dedica, non li chiama mai così — che siano ‘ignavi’ lo dicono i commentatori della Commedia. Ma ecco, si tratta del gruppo enorme di chi visse sanza infamia e sanza lodo, mischiato con gli angeli che non si schierarono né con Dio né con Lucifero. Il profilo dell’ignavo è quello di chi non prende parte, non opera alcuna scelta morale.
L’ignavo unisce pigrizia e viltà perché è moralmente inerte, non dispiega alcuna forza morale nelle scelte da compiere. È insieme negligente e neghittoso, pusillanime e accidioso. Qui non siamo davanti a un animo che semplicemente opera il male e omette il bene: si trascina senza prospettiva e senza frutto, mette la sua paura in poltrona, avvolge la sua ignoranza nelle coperte e lì rimane. Secondo la tradizione della parola, risulterebbe meno indegno essere partigiani del male.
Peraltro l’etimologia è curiosa, perché con tutta probabilità dispiega una progressione di significati che, per quanto calzi sul reale, non è spesso nei nostri pensieri.
L’ignavus latino, si può annusare grazie al prefisso in-, è costruito in negativo. Certo che però quello gnavus non ci dà grandi appigli — e nemmeno l’attestazione classica, che è piuttosto navus. I suoi significati sono ‘attivo, operoso, diligente’, e si dovrebbe trattare di un altro ramo della forte radice indoeuropea ricostruita come gno-, ‘conoscere’. Chi conosce è esperto, chi è esperto è operoso e diligente; una progressione che ci fa apparire l’ignavo sotto una luce nichilista, in cui l’inattività e l’incapacità di uno sforzo è frutto di una mancanza interiore, di un genere radicale d’ignoranza.
Sono panorami tremendi e complessi, quelli mostrati dall’ignavia — così tanto più profonda rispetto alla mera, episodica indifferenza.
Posso parlare delle persone ignave che non hanno pensato di intervenire quando serviva aiuto; della gente ignava che nel momento delle decisioni non si premura di alzarsi e dire — anche sbagliando — che cosa è bene e che cosa è male; degli ignavi che scivolano sfaticati attraverso le situazioni senza darsi pensiero di un vago coinvolgimento.
È una parola pesante — la collocazione dantesca finisce per essere ineludibile, marchiandola di colpa. D’altro canto è sottile, e non mancano le occasioni in cui notare questo particolare genere d’inerzia, che è indolenza e codardia. Nel discorso, l’effetto è assicurato.