Inope

ì-no-pe

Significato Povero, privo di mezzi

Etimologia voce dotta, presa in prestito dal latino ìnops, derivato di ops ‘ricchezza’, con prefisso negativo in-.

Le parole alte e raffinate balzano alla nostra attenzione come parolone, parole macerate in una cultura polverosa, parole di una ricercatezza letteraria, insomma parole per pochi, e questo luogo comune aduggia altri loro caratteri che invece sono determinanti. Ad esempio, possono essere parole di grande delicatezza, di umanità fine — e perciò piuttosto necessarie.

A partire da recuperi dotti del Trecento, l’aggettivo ‘ìnope’ ci descrive il povero — il sostantivo ‘inòpia’ la povertà. E lo fa sfruttando una radice molto profonda della lingua: siamo abituati a collegarla alla ricchezza attraverso termini della famiglia dell’opulenza, toccando un plurale opes che ci racconta proprio la ricchezza, anzi più propriamente i mezzi, le risorse.

A questa famiglia di parole appartiene anche l’opera, che è propriamente un plurale, un collettivo per opus, cioè lavoro, prodotto, e che latinamente descriveva il quanto di lavoro compiuto in una giornata. L’inope non è semplicemente sprovvisto di ricchezze, ma patisce una povertà radicale, da cui non riesce ad affrancarsi col lavoro, sprovvisto di ogni mezzo. Già da qui si vedono le sue possibilità.

Il mondo lessicale della povertà cammina spesso sulle uova tentando di essere corretto e non svilente; bordeggia fra bisognoso, indigente, fra riferimenti più pesanti alla miseria, cristallizzazioni sciatte come ‘non abbiente’, ma nemmeno le putualizzazioni cantate di Aladdin (‘non sono uno straccione/ sono un poveraccio’) ne vengono a capo. L’inope, con la sua modesta ricercatezza, ben calata in un arcipelago etimologico, che non contempla la ricchezza in sé ma come mezzo, è una soluzione dignitosa.

Si può parlare di come la comunità del paese abbia cura di una persona che per disgrazia si ritrova inope, del sostegno discreto che cerchiamo di dare per il riscatto di un inope, di come un’inopia radicata spenga qualunque slancio. Non sono termini che servono per coprire il nome della povertà, che non ha niente da coprire; ma bensì servono per riconoscerla in un suo tratto, nel suo essere mancanza di ponti, di vie, di mezzi. E la scelta di quello che pareva un parolone polveroso ha qui l’effetto paradossale di evitare la retorica facilissima, consunta, del bisognoso e del non abbiente.

(Nota finale d’accento: l’accentazione più corretta pare sia ìnope, anche se Dante, nella Commedia, la faceva suonare inòpe. Se qualcuno dirà inòpe, comunque le forze speciali non faranno irruzione dalla finestra.)

Parola pubblicata il 24 Febbraio 2020