Ipnagogico

i-pna-gò-gi-co

Significato Che si manifesta quando ci si addormenta o quando ci si sveglia, detto in particolare di immagini

Etimologia composto del greco hýpnos ‘sonno’ e agogós ‘conduttore’.

  • «Il film mi ha colpito, la sera mi sono tornate immagini ipnagogiche molto vivide.»

Gli elementi greci che compongono questa parola sono piuttosto familiari — eppure il significato globale di primo acchito può risultare sfuggente. Per fortuna, però, l’ipnagogico ci parla di qualcosa di cui facciamo esperienza quotidiana: nonostante l’altezza, resteremo nel cortile di casa.

Hýpnos, in greco, è il sonno. Forse lo sappiamo anche grazie al mito: nel pantheon greco Hýpnos è proprio il nome del dio del sonno, gemello di Thánatos, la morte. Agogós invece ha un profilo meno immaginifico — significa letteralmente ‘che conduce’ — e però lo ritroviamo nel passato di parole dotte e carismatiche: demagogia, pedagogia, così come mistagogo e anagogico, si appoggiano qui in maniera omologa. Quindi l’ipnagogico è ciò che conduce al sonno, se non perdiamo aderenza col significato proprio dei suoi elementi.
Allora ci dobbiamo aspettare che siano ipnagogiche le tisane serali di camomilla, e le due fiasche che lo zio ha mesciuto durante il pranzo? Ipnagogiche le conferenze a presenza obbligatoria, e le pagine di quel giallo che abbiamo sul comodino da mesi e che ci fanno perdere i sensi alla seconda riga? No.

Questa è una parola nuova, un grecismo dell’ultimo Ottocento foggiato per il lessico della psicologia. Come tante neoformazioni greche, il suo significato è piuttosto approssimato e disinvolto, non ha la finezza netta di un’accordatura compiuta attraverso secoli di uso popolare. In effetti si dice ipnagogico ciò che si manifesta mentre ci stiamo addormentando. È ciò che conduce al sonno, ma non come fa un nocchiere saldo al timone: conduce come conducono come alberi e macigni familiari lungo il sentiero consueto — segna l’arrivo al sonno, o il suo abbandono. È nello spazio dell’ipnagogico che il campo della coscienza si dissolve e che emergono le immagini di sogno che iniziamo a seguire, e il contrario, lo spazio in cui ci riafferriamo e in cui il sogno svapora. Si dice ipnagogico ciò che è relativo a questi momenti.

Posso parlare delle immagini della giornata che si fanno ipnagogiche, e prendono le forme del sogno; quando parliamo con qualcuno mentre ci stiamo addormentando, il discorso si smaglia in vivide allucinazioni ipnagogiche; la mattina mi domando se quello che ho sentito è stato un fenomeno ipnagogico o no; e in uno stato ipnagogico mi sovviene una realizzazione, o credo che mi sovvenga.

È una parola che ha un netto sapore tecnico. Può non essere consona al tono sospeso e poetico che magari ricerchiamo, nel nostro discorso, per parlare del crepuscolo in cui il sonno ancora non è proprio sonno e i sogni ancora non sono proprio sogni. Ma si può parlare di crepuscoli anche con parole precise — e l’ipnagogico, con le sue figure, le sue allucinazioni, le sue fantasie, non si toglie di dosso l’aura misteriosa della battigia bagnata dall’insondabile. Perciò, col suo riferimento trasparente al sonno, rimane una risorsa fine, interessante e più accessibile di quel che si direbbe.

Parola pubblicata il 18 Marzo 2024