Lenezza

le-néz-za

Significato Leggerezza

Etimologia da lene, voce dotta presa in prestito dal latino lenis ‘leggero, delicato, dolce’.

La storia di certe parole è proprio strana. ‘Lenezza’ è un termine quasi del tutto dimenticato — se non per un’occorrenza sorprendentemente precisa, curiosa (e peraltro magnifica) che ne fa un motivo di discussione globale, per cui migliaia di persone, dal Cipango alla Nuova Spagna, si domandano nella propria lingua «Ma che vuol dire ‘lenezza’?». E anche da italiani possiamo avere delle difficoltà a rispondere.

Chi iniziasse a dire «Si tratta di un derivato di ‘lene’» chiarirebbe pochissimo, visto che anche ‘lene’ è un termine ormai piuttosto desueto (Che c’entrano le iene? Ah no, lene con la elle), nonostante una sfolgorante carriera letteraria di sette secoli. Iniziamo quindi a dire che stiamo parlando di parole della stessa famiglia del ‘lenire’ (le tue parole d’amore leniscono la mia malinconia) e del ‘lenitivo’ (dopo essere volato di faccia nell’ortica mi spalmo una cremina lenitiva). Non sono parenti della lena e dell’allenamento, che sono dell’albero dell’anelare: originano dal latino lenis, un termine cardinale perché inanella il leggero e il dolce e il mite.

Questo è anche il significato di ‘lene’: delicato, lieve, dolce. Si può parlare del soffio lene e profumato del vento estivo, delle leni carezze con cui mi svegli, del lene russare della cagnolina sul divano. Un aggettivo (talvolta usato a mo’ di avverbio) con una delicatezza poetica diretta e intensa. La sua appartenenza stretta al lessico letterario alto e la sua sostanziale desuetudine sono brutta cifra di come per parlare di simili dolci quieti ci sia spazio quasi solo nell’arte elevata — come fossero qualità astruse. Che invece non sono.

La lenezza prende le mosse da questo ‘lene’, e la possiamo leggere quindi come una levità dolce, delicata. Le è parallela la lenità (che ha una bella e ricca evoluzione riprendendo quasi tutti gli antichi significati latini della lenitas), rispetto alla quale ha avuto molto meno successo. Ma però

Come molti sanno la lingua italiana era classicamente usata da chi componeva musica per indicare (fra l’altro) i tempi (presto, allegro ma non troppo, adagio e via dicendo), ma le annotazioni non sempre sono canoniche. Ad esempio (eccoci arrivati) nella partitura del quarto movimento della Sesta sinfonia di Tchaikovsky (del 1893, fra i suoi ultimi componimenti) troviamo annotato un memorabile ‘con lenezza e devozione’. La celebrità dell’opera ha trascinato con sé per il mondo la lenezza, in un’unione callida di un concetto di leggerezza con uno pesante di devozione — chiave di lettura molto interessante. In questo modo ci ritroviamo inchiodato per sempre su uno spartito di fama mondiale un termine italiano che nemmeno la nostra letteratura ha dato prova di aver mai amato molto.

E così, mentre ogni uso dell’aggettivo ‘lene’ riattinge a una vena ramificata, potente e nostra, nuovi usi di ‘lenezza’ sarebbero in pratica citazioni… di Tchaikovsky.

Parola pubblicata il 30 Dicembre 2019