Limone
Parole semitiche
li-mó-ne
Significato Agrume giallo, di forma ovoidale, frutto della pianta ‘Citrus limon’
Etimologia dall’arabo laimūn, forse preso in prestito dal persiano limun. Alcune tesi sostengono che la parola venga da una lingua austronesiana, cioè del sud-est asiatico.
Parola pubblicata il 31 Luglio 2020
Parole semitiche - con Maria Costanza Boldrini
Parole arabe, parole ebraiche, giunte in italiano dalle vie del commercio, della convivenza e delle tradizioni religiose. Con Maria Costanza Boldrini, dottoressa in lingue, un venerdì su due esploreremo termini di ascendenza mediorientale, originari del ceppo semitico.
Vi siete mai chiesti perché in francese e in tedesco la parola limone, rispettivamente citron e Zitrone, assomigli così tanto al latino citrus? E perché, invece, in italiano non c’è traccia di questa radice latina, così come in spagnolo o in inglese (limón e lemon). Eppure, l’acido contenuto in questi succosissimi frutti gialli lo chiamiamo acido citrico… ma da dove salta fuori questo limone?
Ebbene, anche questa parola, come fondaco, ad esempio, ha una storia antica che passa attraverso l’arabo. Non è propriamente originaria della lingua semitica, nondimeno ci mostra come la forza dei commerci e dell’esotico si sia abbattuta sull’italiano, sradicando la radice latina per imporre una parola venuta da oriente.
Gli studiosi sono divisi circa la provenienza della pianta del limone: forse Cina, probabilmente Assam, magari Myanmar… fatto sta che le piante di questo gustoso agrume, frutto dell’incrocio tra il cedro e l’arancia amara, furono usate per la prima volta nel bacino del Mediterraneo come alberi ornamentali dagli arabi. Ma allora, perché in latino esiste la parola citrus se la cosa, cioè il frutto, molto probabilmente era ancora sconosciuto ai romani? In effetti, al tempo di Plinio il Vecchio, citrus altro non era che il cedro, progenitore del limone, appunto. La parola citrus verrebbe dunque dal greco kedros o kitrion che, secondo l’inarrivabile grecista Lorenzo Rocci, indicava sia il cedro che il ginepro, che cogli agrumi non c’entra proprio nulla.
Quindi il limone, quasi pacificamente, sono gli arabi ad averlo portato nel Mediterraneo. La parola che hanno usato per indicare questi bei frutti ogivali, di un giallo così spettacolare da aver ispirato ad Eugenio Montale una delle sue liriche più belle, l’hanno molto probabilmente presa al persiano, limun.
Il persiano ha una storia molto affascinante: quello antico era la lingua di Dario e di Serse, gli arcinemici delle poleis greche. Si evolse poi in pahlavi, o medio persiano, in cui sono scritti i testi dello zoroastrismo, per poi diventare neopersiano. Tra l’arabo ed il neopersiano esiste una relazione molto particolare: sono lingue appartenenti a due ceppi diversi, dacché l’arabo è una lingua semitica e il persiano una lingua indoeuropea del ramo iranico, ma usano lo stesso alfabeto… uno degli effetti di secoli di vicinanza e di comunanza nella religione. Il persiano (o farsi) ha comunque aggiunto delle lettere in più, all’alfabeto, adattandolo per includere fonemi indoeuropei sconosciuti all’arabo, come la p.
Tornando ai limoni, è logico credere che i persiani siano entrati in contatto con i popoli del più lontano Oriente, i quali a quanto sembra coltivavano con successo queste piante e parlavano lingue austronesiane, come la lingua indonesiana o la giavanese. Chi lo sa se fu davvero così? Noi ci accontentiamo di ammirare come la parola laimūn abbia attecchito in italiano, probabilmente grazie alla dominazione araba in Sicilia, terra d’agrumi. Senza questo viaggio millenario, oggi non avremmo la limonata ghiacciata a rinfrescarci nella canicola estiva né potremmo goderci un limoncello fatto in casa alla fine del pantagruelico pranzo di Ferragosto.
Se vi state maliziosamente chiedendo da dove salti fuori il limonare, non c’è una risposta univoca: pare che il moto delle lingue nell’atto del bacio richiami il movimento della mano che spreme un limone. Non sappiamo chi sia stato il primo a fare questa associazione di idee, forse un appassionato di voli pindarici.