Pantagruelico
pan-ta-gru-è-li-co
Significato Enorme, smodato, specie riferito ad appetiti, pasti e simili
Etimologia dal nome di Pantagruel, gigante insaziabile protagonista di alcuni romanzi cinquecenteschi di François Rabelais.
- «Il buffet era semplicemente pantagruelico. Ne sono uscito vivo a stento.»
Parola pubblicata il 31 Ottobre 2025
Chi ha l’abitudine di leggere queste trattazioni sulle parole indovinerà già dove è che questa parola ci prude: che differenza c’è col gargantuesco. Ma prima di dedicarci a questa sottigliezza, buttiamoci nell’enormità della meraviglia del pantagruelico.
Nella prima metà del Cinquecento François Rabelais, uno scrittore dei più importanti del Rinascimento francese, iniziò a scrivere una serie di romanzi satirici che avrebbero avuto una grandissima fortuna, con protagonisti i giganti Gargantua e Pantagruel, padre e figlio — ma Pantagruel avrà una posizione più centrale, nella serie. Nello stesso torno d’anni, proprio gli ultimi dell’Ottocento (quindi intanto ne è passata d’acqua sotto i ponti), l’italiano acquisisce tanto il gargantuesco quanto il pantagruelico (un’illazione: sia stato l’effetto della nuova edizione illustrata da Gustave Doré?).
Questi non sono più romanzi particolarmente pop, ma il potere immaginifico di Rabelais ha valso bene qualche antonomasia, in cui si conservano questi profili di personaggi ormai inconsueti. Inconsueti ma non complicati.
Pantagruel, come il padre, è innanzitutto un gigante ghiottone e beone. Poi scherza, combatte, viaggia, regna, ma è questo specifico tratto a restare legato al suo nome: il pantagruelico è l’enorme, specialmente legato alla dimensione del cibo. Un po’ piatto, rispetto alla fantasiosa ricchezza del personaggio, ma l’appiattimento è tipico delle antonomasie — e non si può negare che sia gigante ghiottone e beone innanzitutto.
Posso quindi parlare dell’appetito pantagruelico del bambino, del pasto pantagruelico puntualmente imbandito dalla nonna anche senza preavviso, delle mangiate pantagrueliche che si fanno alla tal locanda — ma anche dell’amica pantagruelica che non si fa mancare il bis del bis, e scavallando fuor di cibo, perfino della pantagruelica raccolta di racconti del nostro autore preferito.
Il significato è semplice (specie se restiamo nel campo canonico del mangiare), ma l’effetto è formidabile. Da una parte è una parola sofisticata, che attinge a una cultura alta, dall’altra il suo mistero è trasparente: chi, senza sapere che vuol dire, potrebbe immaginare come striminzito un piatto di pasta pantagruelico? Perché ‘pantagruelico’ è un aggettivo pantagruelico. Difficile dire come Rabelais abbia concepito questo nome (lui stesso ne dà una spiegazione così campata in aria e fantasiosa da essere... rabelaisiana — sarebbe un ‘assetato di tutto’, costruito con un po’ di greco e un po’ di una specie di arabo). Ciò che ci interessa è che la parola risulta sesquipedale, di suono pieno e vario, ampio e scuro — con dentro dalla pancia ai denti, dalla voce alla lingua. Non a caso, fonosimbolicamente rappresentativa com’è, ha sempre surclassato di molto, nella lingua viva, anche il sodale ‘gargantuesco’ — che forse risulta un po’ più versatile nell’uso ma meno pirotecnico nel suono.
È sempre bello indirizzare la gratitudine per una parola verso l’ingegno solo che l’ha inventata, ma la lingua si fa insieme: se non fosse per la secolare complicità che ha fatto e fa sentire a noi, ai nostri nonni e ai loro nonni il potenziale di questo antico nome, non continueremmo a usarlo con tanto piacere.