Obbedire
ob-be-dì-re (io ob-be-dì-sco)
Significato Eseguire gli ordini, i comandi di qualcuno; fare ciò che un impulso comanda; rispondere in modo sollecito a uno stimolo, assecondare
Etimologia dal latino oboedire, in origine ‘prestare ascolto’ e poi ‘essere sottomesso’; derivato di audire ‘ascoltare’, col prefisso ob- ‘a, verso’.
- «Obbedisco.»
Parola pubblicata il 02 Marzo 2023
L’etimologia è una ricerca potente, che sa dare risposte profonde e radicali su tanta parte del nostro mondo linguistico, interiore e condiviso. E però non è onnipotente: ci sono delle cose che si possono chiedere e delle cose che non si possono chiedere a un’etimologia.
Posso chiedere all’etimologia: da dove viene questo concetto? Quali sono le sue parentele? Non posso chiederle: qual è il significato attuale di questo concetto? Quale è la sua essenza eterna? Tante volte le parole sono come antiche case, in cui di secolo in secolo, con aggiustamenti minimi, persone diversissime conducono vite delle più diverse. Esiste una continuità, ma il modo in cui sono abitate può cambiare profondamente. Queste sono delle considerazioni essenziali da fare avvicinandoci all’etimo di ‘obbedire’.
Il primo significato del latino oboedire è ‘prestare ascolto’: è un derivato di audire ‘ascoltare’, col prefisso ob- che significa ‘a, verso’ — quindi un ‘ascoltare’ direzionato, dedicato. Ora, questo è il punto in cui potremmo avere la tentazione di slanciarci a dire che questo è il vero seme dell’obbedienza, liberato da tutte le sovrastrutture, e che quindi non è un vero tipo di subordinazione. Ma no. Il prestare ascolto ha in effetti qualcosa a che fare col nostro obbedire: però fra il prestare attenzione e l’eseguire un ordine con sottomissione percepiamo una distanza notevole. Posso ascoltare totalmente assorbito ciò che dice la mia professoressa e contestarla in ogni singola vibrazione sonora che ha prodotto.
La stretta contiguità fra ascoltare ed eseguire ha una dimensione piuttosto primitiva: è una prossimità che troviamo nel nostro rapporto con gli animali non umani. Ad esempio, abbiamo l’impressione che il cane ci ascolti quando fa ciò che gli chiediamo di fare. Ecco, l’oboedire è un verbo che tradisce una certa meraviglia per questo fenomeno di ascolto che si fa adeguamento a una volontà.
Ma in una dimensione umana, l’obbedire è diventato qualcosa di sganciato da questo etimo, dall’ascolto. In un paradigma sociale e religioso che si è fatto più raffinato, prevede l’esistenza di un potere ordinamentale che stabilisce un rapporto di subordinazione, e l’obbedire è il conformarsi al suo comando, alla sua direzione. Addirittura potremmo avere difficoltà a chiamare la percezione di questo comando come ‘prestare ascolto’, che ha una sfumatura pensante, ragionata: nell’obbedire c’è un’acquiescenza che non richiede pensiero — tant’è che anche i sassi obbediscono alle leggi della fisica e alle mani di chi li scolpisce.
Leggere l’obbedire come un ascoltare vuol dire pareggiare l’umano all’animale che adeguatamente addestrato sente e fa; nella nostra dimensione, piuttosto, implica il rispetto e il riconoscimento di una subalternità nell’esecuzione di un comando, un comando che soverchia il pensiero e il giudizio subalterno.
È una parola affilata, ricca di implicazioni ed eloquente. Comporta un rapporto di dominio e subordinazione, e la valutazione morale della sua manifestazione è naturalmente cangiante: c’è una mano che con la fisioterapia torna a obbedire, un militare che sarà assolto proprio perché non ha obbedito, e l’attitudine a obbedire di un figlio o di una figlia viene più o meno auspicata a seconda delle sterminate situazioni presentate dalla vita.