Obrizo

o-brì-zo

Significato Detto dell’oro, puro, saggiato

Etimologia prestito dal latino tardo obryzium (aurum) ‘(oro) puro’, dal greco óbruzon (krysíon), che è da óbruza ‘saggio dell’oro’, di origine oscura.

Dire che su questa parola c’è un dito di polvere è dire poco. Addirittura, è caduta in desuetudine senza che si fosse giunti a una grafia univoca del prestito dal latino (obrizo si alterna a obrizzo e obrizio). Ma è particolarmente interessante, perché ci fa vedere uno scorcio del nostro rapporto con l’oro arrivando a profondità e diffusioni storiche sinceramente sorprendenti.

Obrizo è essenzialmente un aggettivo che si riferisce all’oro, e qualifica l’oro puro, provato al crogiolo. Si tratta di un prestito dal latino tardo obryzium — una parola che però notiamo subito essere ben poco latina. Infatti l’espressione obryzium aurum (oro puro) è tarda, non si afferma prima del IV secolo d.C., quando viene tratta dal greco óbruzon krysíon. E coniata con una sigla sui lingotti per le zecche imperiali si è diffusa anche in lingue celtiche, slave, germaniche. Da dove venga questo óbruzon , anzi quell’óbruza greco che primamente descriveva il saggio dell’oro, resta un mistero, anche se qualcuno si sbilancia ancora verso est e il passato, trovando in questo termine tecnico un’origine mesopotamica, dove le pratiche di purificazione dell’oro furono per la prima volta sviluppate.

Il problema della desuetudine di obrizo non sta nella parola che è troppo ricercata, il problema è che l’oro puro stesso ha abbandonato le nostre vite e il nostro immaginario, e in una misura rilevante ha perso la sua importanza comune; giusto in gioielleria si contempla il grado di purezza dell’oro, ma fra titoli e carati. Dopotutto, le borse piene di fiorini d’oro non le spende più nessuno, le zecche coniano altro che oro (e infatti anche l’oro zecchino ha ormai un delicato colore ottocentesco), a ingolosire i sognanti non sono metalli in un forziere ma numeri su un conto o al massimo fogli di banca, e in giro non ci sono più alchimisti, no?

L’aggettivo obrizo, nella vaghezza della sua purezza assoluta, non solo è superato da metri più precisi e utili, ma ha visto svanire la stessa importanza mitica di ciò che descriveva, sia nella realtà sia nell’immaginario del quotidiano. Quindi certo, questa (insieme all’omologa latina) è una parola che troveremo usata fino al Settecento in discorsi di economia e di chimica, e la troveremo anche in D’Annunzio e in qualche altro autore amante delle più squisite ricercatezze lessicali. Ma quel riferimento all’oro provato, per il tramite di un aggettivo antico e misterioso, ha perso irreparabilmente vigore. Il che ha anche un pregio: lascia fuori dai giochi della mercatura una parola che, per la storia che ci fa intravedere, è in grado di parlarci degli sforzi fatti da avi antichi per portare al massimo lo splendore del simbolo materiale dell’incorruttibilità, della maestà.

Magari, se ci scapperà di dire che un risultato agognato è per noi oro obrizo, che una concessione è oro obrizo, che è oro obrizo il sentimento trasparente che proviamo, riusciremo a significarne non solo il pregio, ma anche la fatica — come sanno significare le parole pregevoli e faticose.

Parola pubblicata il 13 Gennaio 2020