Oro

ò-ro

Significato Elemento chimico (simbolo Au), metallo nobile, giallo brillante, che la società umana ha sempre ritenuto prezioso e di grande valore

Etimologia attraverso il latino volgare orum, dal latino aurum, che nasce da una radice proto-italica ricostruita come auso-, di origine indoeuropea.

In breve, ora, se vuoi, con garbo, con certa scïenza,
narrar ti posso un’altra leggenda; e tu intendila bene:
come da sola una stirpe provengano gli uomini e i Numi.
D’oro la prima stirpe degli uomini nati a morire
fecero dunque i Numi d’Olimpo che vivono eterni.

Esiodo, ne ‘Le opere e i giorni’, ci narra un mito che è presente in moltissime culture ancestrali, nate e sviluppatesi anche in luoghi lontani tra loro: la favolosa età dell’oro. La versione del poeta greco è quella più famosa e universalmente conosciuta, ma anche Virgilio ritira fuori questo mito nelle sue Bucoliche, parlando di un fanciullo (puer) la cui venuta dal sapore messianico riporterà l’umanità in una nuova età dell’oro, in un tempo infinitamente ciclico.

L’età dell’oro, di fatto, fu un mitologico e gloriosissimo momento dell’uomo in cui i frutti della terra nascevano senza sforzo o lavoro, la malattia non esisteva, la giustizia regnava, gli uomini erano amati dagli dèi e morivano nel sonno, senza invecchiare o soffrire. Un tempo perfetto, edenico, indimenticato e vagheggiato da noi umani dell’epoca del ferro e della violenza.

Perché associare proprio l’oro all’era più gloriosa della storia umana? Perché esso da sempre è il metallo migliore del mondo. È subito riconoscibile, giallo, brillante, luminoso come il sole — e inoltre è malleabile, e si lavora facilmente: caratteristiche che lo hanno reso la materia più concupita nella storia, tale da basare tutta una scienza come l’alchimia sulla sua spasmodica ricerca. E poco importa se altri metalli lo abbiano scalzato dal podio del metallo più prezioso (pensiamo al rodio, all’iridio, al palladio). Il fascino ipnotico dell’oro non è mai tramontato.

Oro… che parola breve, piena, sapida! Apriamo la bocca in un anello di stupore per pronunciarla, scivola via col sospiro. La sua etimologia ci porta fino al latino aurum che, da una radice proto-italica ricostruita come auso-, si è trasformata nei secoli, accorciandosi nel lemma trilittero che conosciamo noi. Fa parte del nostro immaginario, inestricabilmente accostato ai concetti di luce, fulgore, valore e pregio.

Nel linguaggio figurato usiamo la parola oro come termine di paragone per caratteristiche di eccezionale rarità e bellezza. Parliamo allora di ragazzo d’oro quando abbiamo a che fare con un giovane premuroso, sensibile e intelligente, o di mani d’oro quando qualcuno è capace di costruire cose meravigliose partendo da niente.

Riguardo i due aggettivi derivati, dorato e aureo, essi ci parleranno ciascuno di caratteristiche diverse: ciò che è dorato lo è sulla superficie, nell’apparenza, non va nel profondo: ammiriamo il grano biondo dorato a fine giugno, nei tuoi occhi castani vedo pagliuzze dorate tutto attorno alla pupilla. Ciò che invece è aureo possiede spesso le qualità ontologiche dell’oro. Forse è fatto tutto d’oro, o forse è glorioso e perfetto come questo metallo o ne ha la stessa potente lucentezza intrinseca: la statua aurea di Apollo ci abbacina per la sua bellezza, sono ipnotizzata dalla tua chioma aurea, quelli sì che erano tempi aurei!

Metallo, simbolo e serbatoio immaginifico per ogni slancio poetico. Non è solo biondo, quello che suona nel petrarchesco «Erano i capei d’oro a l’aura sparsi…».

Parola pubblicata il 31 Ottobre 2021