Pietà
La strana coppia
pie-tà
Significato Sentimento di compassione caritatevole; ripugnanza
Etimologia dal latino pietas ‘devozione’.
Parola pubblicata il 01 Settembre 2020
La strana coppia - con Salvatore Congiu
Parole sorelle, che dalla stessa origine fioriscono in lingue diverse, possono prendere le pieghe di significato più impensate. Con Salvatore Congiu, insegnante e poliglotta, un martedì su due vedremo una di queste strane coppie, in cui la parola italiana si confronterà con la sorella inglese, francese, spagnola o tedesca.
Ci sono parole che dovrebbero essere due. Come mai sui vocabolari di francese si trova sia pitié che piété, su quelli d’inglese pity e piety, mentre sugl’italiani solo pietà? Perché noi non abbiamo voluto separare ciò che il latino ha unito, e così definiamo pietà quella di Enea e quella che fa una giacca tagliata male, quella di Michelangelo e quella del bove amato da Carducci (T’amo, o pio bove; e mite un sentimento/ di vigore e di pace al cor m’infondi). Già: se il bove è pio vuol dire che ha pietà, chiaro. Ma di chi?
Prendiamo subito il bove per le corna. In latino pius significava anzitutto ‘coscienzioso’, ‘rispettoso’ e, se riferito ad una cosa, ‘doveroso, sacrosanto’. Non aveva necessariamente un senso religioso, dunque, ma pare essere germogliato sul terreno del sacro: la radice indoeuropea è forse la stessa di “puro”, e certamente il verbo piare in latino significava ‘purificare, espiare (ex piare, appunto) o propiziare con sacrifici’. La pietas era quindi in origine il senso del dovere, la coscienziosa devozione ai valori religiosi e civili, declinata poi in pietas erga deos, pietas erga parentes e pietas erga patriam. Il mitico eroe troiano Enea – che anteponeva sempre, immancabilmente, il dovere al piacere – le possedeva tutte in massimo grado; perciò la sua pietà è così famosa.
Oggigiorno, questo significato di ‘pietà’ come doveroso e rispettoso affetto verso Dio, la patria e la famiglia è del tutto perso, se non come riferimento storico (e in quel caso, per evitare equivoci, spesso si usa direttamente pietas). Figuriamoci: “doveroso affetto” oggi suona quasi come un ossimoro. L’accezione, beninteso, è ancora riportata dai vocabolari, ma l’unico senso vivo fuori dalla letteratura è quello di ‘compassione’, al quale si è arrivati per gradi: in epoca romana imperiale, pietas iniziò a riferirsi alla clemenza, virtù precipua dell’imperatore; poi, in ambito cristiano, alla misericordia di Dio verso gli uomini; infine alla commiserazione di chiunque per le sofferenze altrui.
Peraltro, il fatto curioso è che talvolta, quando diciamo che qualcuno o qualcosa “fa pietà”, intendiamo tutt’altro: non che ci muove a compassione, bensì che lo giudichiamo scadente ai limiti dell’imbarazzante, financo disgustoso. Il neoacquisto miliardario ha costernato i tifosi giocando da far pietà; il risotto che la zia ci ha servito a pranzo faceva pietà; e la tesi di quel diligente laureando non manca di spunti interessanti, ma è scritta da far pietà.
E poi c’è il senso religioso del termine, che esiste ancora, certo, quantunque oggi non accada spesso di parlare di libri o pratiche di pietà. Eppure, in italiano pio significa ormai solo quello: ‘devoto, religioso’ – e lo studente deve andare a leggersi le note al testo per capire che il bove di Carducci non era devoto, bensì mansueto. Non solo: è unicamente nel senso religioso, ormai, che la derivazione di pietà da pio risulta chiara alla coscienza dei parlanti. Tanto che a me viene spontaneo pensare che, per quel significato, dovrebbe esistere il trisillabo pïetà, oppure pïezza, o piitudine. Invece, niente. Nessuna possibilità di differenziare le due accezioni.
Inglesi e francesi, loro, possono: piété e piety per ‘devozione’, pitié e pity per ‘compassione’. Noi no: peccato. A proposito: “che peccato!” in inglese è “what a pity!”, in francese “quelle pitié!”. Sarà perché siamo dotati di maggiore pïetà che noi usiamo un termine così marcatamente religioso?
Infine: anche la pietanza, sorprendentemente, è una forma di pietà. Approfittiamone per rileggerla.